Posts Tagged ‘Veltroni’

Bersani e la Voce

agosto 28, 2012

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– BERSANI: Grillo si deve dimettere! 
LA VOCE: ma Grillo non è niente, da cosa si deve dimettere? 
– BERSANI: non è niente? Ma come … è fassissta! 
– LA VOCE: sai con quanti fassissti veri sei andato a braccetto? Soltanto nella foto di Vasto ce ne sono tre. 
– BERSANI: allora è Casini che si deve dimettere! 
– LA VOCE: ma anche Casini non è niente. E’ solo un fantoccio che si presta a compiacere alcuni poteri. 
– BERSANI: si deve dimettere dal niente, allora! Oh cazzo qualcuno si deve dimettere! A Berlusconi non posso più dirlo. Si è già dimesso! 
– LA VOCE: Ma come prima lo carichi e poi lo scarichi? Come un pacco! Si stava trascinando assieme anche Fini! Son tre voti (lui, Bocchino e la Tulliani) ma meglio di niente! 
– BERSANI: ma Vendola mi vuole scaricare. Non lo hai letto? Per colpa di Casini. Nichi è geloso! Se restano fuori, e contro di me, Vendola, Grillo e Di Pietro, sarò io a dovermi dimettere! 
– LA VOCE: ma Di Pietro non è fassissta? 
– BERSANI: non tutti i giorni! I giorni pari sembra un comunista! 
Lo prendo i giorni pari ed i giorni dispari gli dico che deve dimettersi, poi dico a Mario e Giorgio di fissare la data delle elezioni in un giorno pari. 
Sono o non sono un nipotino di Togliatti io? So’ furbo! 
– LA VOCE: … bisbigliando tra se … ma dove li prendono? 
– BERSANI: un attimo vedo la stampa laggiù … ora rilascio alcuni miei pensieri. 
– LA STAMPA: On. Bersani ha dato del fascista a Grillo, si sta levando una polemica che rischia di mandare a gambe levate tutta la sinistra (per pudore, i giornalisti si astengono dal dire … se cade la sinistra noi leccaculi di professione che facciamo?). Persino Di Pietro prova a gettare acqua sul fuoco. Ma che c’azzecca? Che succede? 
– BERSANI: “Toni del genere non vanno mai usati e c’è anche una discriminante: se vuoi seppellirmi vivo vienimelo a dire e vediamo se me lo dici”. 
– LA VOCEcon un bisbiglio … oh santiddio!!! … ma che sta a dì? 
Madonna mia! Questo è più fuori di Vendola! 
– LA STAMPA: Segretario si rende conto che questa sua dichiarazione ha i toni della sfida e che finirà per alimentare le polemiche? 
– BERSANI: “Non dò del fassissta a nessuno, inutile che facciano tutto questo chiasso e questi insulti perchè so benissimo che il partito nazionale fascista non c’è più, che siamo in altri tempi, non c’è bisogno che me lo dicano”. 
– LA VOCE (che nel frattempo si era allontanata): …ma dove c… li prendono?
Son tutti uguali, prima Veltroni, poi sto pettinatore di bambole. 
Son tutti maniaci!
Nel PD i segretari sembrano fatti con lo stampino! 
Vito Schepisi

agosto 26, 2009

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La gratitudine in politica non esiste. E’ una regola valida da sempre. Una costante che ha una sua ragione di essere. Il consenso del popolo, infatti, a cui la responsabilità dei partiti dovrebbe richiamarsi,  non può garantire benevolenze private e neanche rendite di posizione. Ma in tutti i rapporti, anche politici, dovrebbero coesistere lealtà e rigore ideale, quali pilastri della correttezza umana, quali capisaldi di un modo corretto di proporsi. E sono proprio questa lealtà e questo rigore ideale che sempre più spesso non si ritrovano nelle strategie politiche delle alleanze e nei comportamenti degli uomini e dei partiti.

Ci sarebbe da chiedersi, a tal proposito, come mai Di Pietro si è alleato con Veltroni, impegnandosi alle ultime elezioni politiche finanche a costituire un gruppo unico in Parlamento, se Di Pietro ora accusa Veltroni di essere responsabile della caduta di Prodi e del ritorno al Governo di Berlusconi?

Se il leader dell’Idv nutriva riserve sul progetto del Partito Democratico e sulle responsabilità dell’ex Sindaco di Roma per la caduta di Prodi, perché si è alleato con Veltroni ed il PD? E, se non credeva in quel progetto, quale valore aveva la sua alleanza, se non quello di una furbesca ed interessata finzione?

Altro che l’Italia dei valori! Più l’Italia dei vagabondi.

Non è un mistero che il salvagente a Di Pietro, alle politiche, l’abbia fornito proprio Veltroni, e che l’ex magistrato abbia barato al gioco, impegnandosi a sostenere un progetto politico che invece ha poi denunciato e fatto fallire. Veltroni ha ingenuamente fornito persino il lubrificante con cui il “feroce” molisano sta ungendo la corda con la quale intende impiccare l’intero PD.

Ma non si tratta solo di mancanza di gratitudine. Si è ripresentata, invece, la bieca attitudine dell’ex PM a tradire chiunque gli abbia allungato una mano. A nulla vale che la mano in questione, trattandosi di quella di Veltroni, prestigiatore a sua volta delle parole e delle immagini, preso dall’illusione di poter vincere le elezioni, non fosse del tutto disinteressata.

Un uomo fortunato Di Pietro. Trova sempre chi lo fa emergere dalle zolle di terra. Ma ci sono anche molti furbastri che sognano di utilizzare il suo trattore per mietere grano elettorale e riempire i silos, all’occasione trasformati in loft, finendo invece con le palle nei cingoli, o basiti dalla sua travolgente inaffidabilità.

Facendo fallire il progetto di un partito nuovo, affrancato dalla sinistra radicale e riferimento, invece, di un’area di sinistra democratica di tipo europeo, aperto al confronto con la parte moderata e propositiva del Paese, Di Pietro ha fatto fallire l’intero progetto politico del PD. E’ venuta meno la stessa ragione di esistere, come emerge dalla miserevole fase precongressuale. Una mera alleanza elettorale tra post democristiani e post comunisti,  vuota di ideali e di prospettive future. Solo un contenitore di uomini lividi, arroccati a difendere spazi di potere, con un comune rancoroso collante antiberlusconiano.

Affossando il proposito veltroniano di collaborare all’avvio delle riforme condivise, per  trasformare anche quello politico italiano in un sistema di democrazia compiuta, Di Pietro ha mortificato ancora una volta il tentativo –  tutto da verificare per la presenza nel PD di incrostazioni massimaliste – di consolidare nel Paese una normale democrazia liberale.

Una preoccupazione quest’ultima che prende corpo col ripresentarsi della protesta intollerante, montata sui pregiudizi e contro un Governo che mostra invece grande impegno e concretezza, nonostante le grandi difficoltà rappresentate da calamità, strutture obsolete e dalla difficile crisi mondiale dei mercati.

Un “cupio dissolvi” sulla pelle degli Italiani. La chiamata alle armi autunnale di Di Pietro è simile alla retorica fascista prima della marcia su Roma, quando il populismo di sinistra e di destra si andavano a congiungere nella follia di ritenere che fuori dalla mediazione della politica, con i modi sbrigativi e con la complicità di pezzi dei poteri dello Stato, si potessero risolvere le difficoltà tipiche delle grandi trasformazioni sociali. E come allora, quando una parte della burocrazia aristocratica – lo stesso potere delle caste di oggi – aveva pensato che si potesse governare la trasformazione della società con  l’instaurazione di uno Stato autoritario, anche oggi c’è chi pensa di poter impedire la trasformazione del Paese, le riforme per la trasparenza e la liberazione dai soprusi e dai privilegi delle caste, fomentando un clima di intolleranza e di delegittimazione politica.

Vito Schepisi      su     Il Legno Storto

Un Governo che governi ed un Parlamento che controlli

marzo 30, 2009

POL: 1° CONGRESSO PDL

Un congresso di partito si consuma, per tradizione, tra auto-celebrazioni, richiami emotivi ed indicazioni di gestione e di programmi. Per un partito di governo coincidono, per logica, con le iniziative legislative e con la rotta da tenere sugli obiettivi da raggiungere. Si consuma anche nella lotta interna alla ricerca di spazi di comando e di ruoli di visibilità nella gestione: aspetto in cui emerge spesso la degenerazione partitocratrica e la natura mestierante del personale della politica. Nel Pdl è venuto meno questo risvolto discutibile che passa anche per pluralismo e democrazia interna. Si è scelto di affidare gli incarichi a tavolino, per garantire a tutte le componenti spazio ed adeguata visibilità. E’ un metodo che è stato adottato anche con la costituzione del PD. Tutte le componenti sono state rappresentate equamente nell’intento della convergenza e dell’unità organizzativa. Ed in un Congresso costitutivo di fusione tra più partiti non poteva che essere così.

Chi si aspettava qualcosa di diverso alla Fiera di Roma, per il metodo, non è affatto in buona fede. Le proposte si possono criticare, si può discutere su ciò che è stato detto o fatto, ma sostenere che sia stato un congresso auto-celebrativo, scontato, privo di pathos e di grandi ispirazioni è solo pretestuoso e serve solo a confermare il reiterato pregiudizio della sinistra in Italia. Il Congresso del PD di Veltroni era stato salutato, infatti, con diversa attenzione dall’opposizione, soprattutto per l’inizio di una diversa stagione del confronto politico. E’ quasi palpabile la cultura profondamente diversa per il rispetto e per la tolleranza con la sinistra italiana.

Il Pdl è nato nella tradizione comune di tutti i soggetti politici, con un discorso di apertura di Berlusconi sul chi siamo, da dove veniamo e per cosa ci siamo trovati. Si è poi animato un dibattito dai toni differenti sulle iniziative, si sono sottolineate aperture sui temi più affini ai personaggi che via, via si sono succeduti sul palco. Sono stati affrontati tutti, o quasi, gli argomenti dell’attualità politica. Le differenti espressioni, pur se composte, com’è nella natura di una forza di centralità liberale, democratica ed interclassista di tradizione europea, si sono mostrate articolate in spinte verso tutte le sensibilità democratiche. Il partito del Popolo della Libertà ha mostrato d’essere la sintesi di una vasta fascia popolare con attenzioni differenti, ma con consistenti valori comuni.

Il bipolarismo è un valore che sta prendendo strada nella volontà del Paese. L’aspetto più peculiare è nel far sviluppare, finalmente, un vero confronto democratico tra le due grandi forze di estrazione popolare. Questo processo passa attraverso la capacità di far sintesi all’interno. Le forze politiche contendenti devono, per una democrazia compiuta, poter rappresentare una base riconoscibile di valori condivisi. I contenuti dell’azione e delle proposte politiche devono essere il risultato di un dibattito interno in cui, se è il caso, ognuno debba rinunciare a qualcosa o debba adeguarsi a cogliere il giusto equilibrio, tra le scelte, che non mortifichi le aspettative degli altri: questo è tra i principi del liberalismo ideale e politico.

Il Congresso si è concluso con un discorso per obiettivi, con l’indicazione di un’attività propulsiva verso le riforme e la modifica dell’organizzazione dello Stato. È stato ribadito l’impegno, per responsabilità di governo, a supportare tutte le possibili misure per fronteggiare la crisi: sostenere l’economia, difendere l’occupazione e promuovere lo sviluppo, senza lasciar indietro nessuno.

L’iniziativa per la riforma dello Stato e della seconda parte della Costituzione non sono un capriccio di Berlusconi: fanno parte di una reiterata iniziativa parlamentare. Sono passati 26 anni dall’istituzione della bicamerale del 1983, presieduta dal liberale Aldo Bozzi e vanificata con la caduta della legislatura. Ci ha provato D’Alema, con quella del 1997, naufragata nella furbizia di voler cautelare la casta dei magistrati. Anche la Riforma approvata in doppia lettura dal Parlamento nel 2005, dopo l’insediamento di Prodi nel 2006 e gli appelli apocalittici di un ex Presidente della Repubblica (con altro da dover spiegare agli italiani) – si parlò di divisione dell’Italia – è stata respinta dal referendum del 2006. Tra il 2007 ed il 2008 c’è stata la bozza Violante, quella che Veltroni voleva discutere in alternativa allo svolgimento delle elezioni politiche. Ora Franceschini sostiene che ci sia da pensare alla crisi economica! La Riforma è invece inderogabile perché non c’è un Berlusconi che vuole maggiori poteri per se, ma è l’Italia che deve dotarsi di strumenti più rapidi per uscire dall’immobilismo “per un Governo che governi ed un Parlamento che controlli”.

Vito Schepisi

La metamorfosi a tempo del PD

febbraio 25, 2009

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Un pacco di pasta, una lattina di birra, una passata di pomodoro, dalla data di confezione a quella di scadenza, hanno un periodo più lungo di vita di quella che avrà Franceschini alla guida del PD. Il deputato ferrarese, con un passato a mezzo servizio tra gli ex Ds e gli ex Ppi, è stato chiamato a sostituire Veltroni a tempo, con scadenza ad ottobre: durerà otto mesi.

Un segretario con scadenza, come un oggetto di consumo da supermercato, come un alimento da consumare entro un tempo stabilito perché non ci sia pericolo che possa nuocere.

Il suo mandato è quello di tamponare Di Pietro e di bloccare l’emorragia dei consensi di chi predilige i toni duri ed i metodi pregiudiziali: quelli tipici dell’ex magistrato. Il suo mandato è di spostarsi a sinistra, ma senza spaventare eccessivamente l’area moderata, grazie alla sua capacità d’essere ambiguo, di spostarsi a sinistra solo accrescendo il tasso di conflittualità col Governo.

Il PD considera perduta al momento la fase della ricerca del consenso moderato. È stata presa in considerazione l’indisponibilità di Casini, quanto meno nell’immediato, e prima delle elezioni europee ed amministrative di fine primavera, nel farsi coinvolgere in avventure a tempo, senza che un Congresso del Partito Democratico stabilisca di già una precisa strategia di alleanze privilegiate con l’Udc. C’è inoltre la possibilità che nelle prossime fasi, con la posizione rigida di Rutelli sulla legge sul testamento biologico, o subito dopo le europee, il PD si possa scomporre e che qualcuno  pensi di potersi giocare la carta di un’aggregazione al centro, a metà strada tra PDL e PD.

Quello di un partito nel mezzo è il sogno non tanto segreto di Follini e Casini a cui non sembrerebbe vero di veder svanire il bipolarismo e di potersi ritagliare una nuova edizione della politica del doppio forno, come quella della prima repubblica quando era il PSI, tra la DC ed il PCI, a condizionare le scelte politiche.

Lo scopo nell’immediato di Franceschini  sembra, invece, quello di recuperare il consenso di quei militanti che guardano la politica come una partita di calcio tra la sinistra e Berlusconi. In questo confronto non conta giocare un buon calcio, ma vincere con ogni mezzo. Fuori della metafora, per il PD non conterà un’opposizione efficace e costruttiva, ma costi quel che costi, sarà importante recar danni all’avversario, anche col rischio di recar danni al Paese.

Un’ampia fascia di elettori PD è costituita dalla vecchia guardia dura e pura del vecchio Pci. I post comunisti sono quelli  che vorrebbero che i vertici del partito entrino a gamba tesa contro l’avversario politico, con un arbitro quanto meno distratto, se non a completo servizio, appunto come piacerebbe a Di Pietro.

Il PD è convinto d’esser destinato a perdere le prossime elezioni europee ed amministrative del 7 giugno, ma ha bisogno di risultare perdente mentre vira a sinistra. Il PD, per poter rimescolare le carte e dar soddisfazione allo zoccolo duro, ha bisogno di non mortificare i militanti periferici. Ha bisogno di dar soddisfazione agli iscritti che sulle parete delle sezioni hanno ancora i simboli della falce e martello. Sono quelli che vogliono la guerra “dura e senza paura” come gridavano nelle piazze e nelle manifestazioni. Lo zoccolo duro è pur sempre la base del loro futuro.

Sarà dopo più facile, al congresso, dinanzi ad una linea perdente, convincere i militanti che sia necessario provare a spodestare Berlusconi dal centro e convincerli della necessità di dover conquistare quello spazio per vincere la sfida politica per il governo.

Veltroni leggeva Charles Dickens e Oscar Wilde, Franceschini va dritto su Kafka, sulla metamorfosi, tra l’ambiguità ed il disagio, per trovare una dritta.

Vito Schepisi

L’avversario del PD non è Berlusconi, ma il Paese

febbraio 23, 2009

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Ma a Franceschini non ha detto niente Veltroni? Non ha spiegato i veri motivi per i quali è andato via, lasciando tutto il centrosinistra con il cerino acceso in mano? Ha fatto credere anche al suo vice che abbia mollato perché si è sentito incompreso dai suoi compagni, infastidito dalle tante vicende interne, indebolito dalla questione morale e dai tanti no ricevuti? Vuol far credere d’aver abbandonato la barca soltanto sull’onda della delusione per la pesante sconfitta in Sardegna, dove il PD è stato distanziato di ben 18,5 punti percentuali dal PDL?

Dal persistere di Franceschini sulla stessa linea, temiamo che sia stato così e che Veltroni abbia detto anche al suo successore le solite cose che va dicendo in giro. Pensiamo che abbia detto che i motivi vanno ricercati nei presunti disvalori di Berlusconi, i cui pericoli non è riuscito a far comprendere agli elettori (naturalmente ignoranti!). E si sarà riferito alla sua delusione per le continue delegittimazioni all’interno del PD, per iniziativa ora di D’Alema, ora di Cacciari e poi di Soru, di Chiamparino, di Parisi e di Bersani. Avrà detto solo ciò che vuol far credere a tutti, con la sua retorica e l’irritazione per il fuoco amico. La verità, però, è un’altra ancora!

Veltroni ha mollato tutto ed è scappato via perché si è accorto che da quando ha assunto la leadership del PD il suo avversario non è stato Berlusconi ed il centrodestra, ma il popolo italiano. Veltroni deve aver compreso, finalmente, che lottare contro il buonsenso finisce col danneggiare l’immagine di chi ci si cimenta.

Veltroni ha portato il PD a battersi contro il Paese. L’ex segretario del PD ha perso più di Soru in Sardegna, anche se ha cercato di nasconderlo con le dimissioni. La perdita del PD è stata una vera disfatta, la distanza dal Pdl è stata pari al doppio di quella subita del Presidente uscente. La sconfitta maggiore è stata quindi quella di tutto il progetto PD.

In Sardegna ha perso l’illusione di poter fronteggiare il centrodestra senza avere un programma di governo, senza proporre obiettivi realizzabili e senza fornire risposte di governabilità alle emergenze che si presentano non solo nell’isola, ma nell’intero Paese.

Se ad un partito di natura popolare vengono meno le motivazioni, la sconfitta è inevitabile.

Un partito con sensibilità plurali finisce con lo sfaldarsi se non riesce a cavalcare le istanze popolari; finisce col ridursi alla somma dei rancori, degli odi e delle intolleranze, se non riesce ad interpretare la concretezza dell’elettorato maturo, quello sordo ai richiami ideologici, pragmatico e poco incline alle fumosità retoriche, ma interessato alle questioni della sua vita quotidiana ed alle prospettive future, e che chiede principalmente efficienza, lavoro e sicurezza.

Cos’è un partito se non un insieme di idee che si reggono sulle gambe di quegli uomini che progettano e si impegnano ad affrontare il futuro delle comunità nazionali? E cosa sono quegli uomini di partito che non comprendono i timori, le ansie, le speranze e le emozioni del Paese?

L’intervento all’assemblea PD a Roma, ed ancor più quello a Ferrara, è stato in perfetta continuità con la linea del suo predecessore: il neo segretario si riduce soltanto a ricalcare le orme di Veltroni.

A che serve il cambiamento su una linea perdente? Agli italiani non interessa il tasso dell’antiberlusconismo del segretario del PD: è una misura non indispensabile per la guida del Paese! Ci vuole bene altro! Non serve un PD che da correre dietro a Di Pietro, con Franceschini sembra addirittura volergli camminare a fianco, mano nella mano.

All’elettore interessa, invece, sapere se siederà al tavolo delle riforme, se la Costituzione, che va difesa nei suoi principi democratici, verrà modificata per rafforzare la governabilità e per rendere trasparenti i poteri dello Stato e se sarà adeguata ai tempi delle decisioni veloci. Il clamore di atti, nel versante della giustizia, che stridono contro il buon senso, fa chiedere se la riforma dell’Ordinamento Giudiziario vedrà ancora il PD appiattito sulla reazione scomposta di Di Pietro.

Gli elettori si chiedono se il Partito Democratico saprà dotarsi di una proposta politica complessiva che prescinda dal no pregiudiziale o se continuerà a criminalizzare il Paese che concede la sua fiducia al centrodestra di Berlusconi. L’Italia ha bisogno di una opposizione democratica e di uscire dalle sabbie mobili del pregiudizio.

Il PD deve così fare la sua scelta se stare con la democrazia. o a rimorchio del reazionario Di Pietro.

Vito Schepisi

 

 

Da Prodi a Veltroni: tre anni di sconfitte per la sinistra

febbraio 18, 2009

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Tutto era cominciato con il malumore in Italia per un governo, il Prodi, che sembrava confliggere con l’Italia intera: aumento delle tasse, aumento dei costi, aumento delle tariffe, aumento di ministri e sottosegretari, aumenti dei costi della politica, aumento della litigiosità interna, aumento dell’arroganza di una maggioranza senza numeri nel Parlamento e nel Paese.

In gestazione c’era il Partito Democratico ispirato da Prodi con l’idea di avere un partito importante, per numeri e per progetto politico, che lo sostenesse.

La sua designazione alle primarie nell’autunno del 2005 era stata una farsa. La candidatura era emersa più per tenere unita la sinistra che per il riconoscimento del suo carisma e del suo spessore politico. Prodi sembrava l’uomo giusto per la necessità di mostrare una coalizione “coesa”, come gli piaceva sostenere. La sua nella realtà era stata una nomina, non una designazione popolare.

Con la creazione del PD, Prodi mirava a creare un partito con la sua leadership in grado di legittimarlo politicamente come soggetto politico capace di conquistare un importante consenso elettorale. Le cose, però, sono andare male per lui. La sua maggioranza era ingovernabile ed il suo metodo indisponente. Per Berlusconi è stato anche troppo facile girargli contro il Paese: Prodi ed i suoi ministri sembravano così sprovveduti da farsi autogol a ripetizione.

C’era un Sindaco a Roma, in procinto di partire per l’Africa non appena concluso il mandato. Si diceva un gran bene di lui. Tagliava nastri a ripetizione e cantava nel coro del politicamente corretto.

Nel Paese la sinistra era in crisi, scossa dall’antipolitica che emergeva con i V.Day di Grillo. Il viaggio di Veltroni nell’Africa della sofferenza veniva così annullato, c’era per lui un’altra missione caritatevole: salvare la sinistra dalla deriva verso cui Prodi la stava trascinando.

Altre primarie, altra farsa ed altra indicazione plebiscitaria. E’sembrato un successo per Veltroni, un po’ meno per le sorti della sinistra al Governo, già in crisi di identità. Si creavano due sinistre: una di Prodi in Parlamento e l’altra di Veltroni nelle piazze del Paese; una di chiusura al confronto con il centrodestra sulle riforme e l’altra che invece si sedeva ai tavoli per discutere.

E’ bastato un colpo di vento, uno spiffero proveniente dalle stanze delle procure italiane, per far cadere Prodi, già costipato, ed il suo sgangherato governo.

Arrivava così il Veltroni delle aperture: mai più antiberlusconismo; dialogo con gli avversari politici; legittimazione di chiunque vinca; è il momento di avere finalmente un paese normale; rispetto per l’avversario; le riforme sono necessarie e c’è il nostro impegno a farle, a prescindere dai risultati elettorali. Tanti proclami di serietà, di buonsenso, quasi di rammarico per il passato indecente fatto di insulti e di prepotenze. Il più gridato tra tutti il proclama della fine delle alleanze con i cespugli e la sfida al centrodestra di fare altrettanto per superare la paralisi della partitocrazia.

Quello che poi è stato è storia recente. Sin dalla compagna elettorale delle politiche del 2008 i toni sono diventati più duri ed al limite dell’oltraggio, l’antiberlusconismo è riemerso come e più di prima. I buoni propositi sono andati a farsi benedire, le immagini suggestive hanno travalicato i fatti, l’ostruzionismo si è sostituito alle proposte ed il pregiudizio al confronto.

Il proclama d’andare da soli si infrangeva immediatamente. Il PD di Veltroni si sceglieva l’alleato più viscerale, si alleava con Di Pietro, il politico più intollerante, quello che è contro ogni riforma, quello che della crociata contro Berlusconi sta facendo l’unica ragione di vita del suo partito dai connotati personali e dalla conduzione familiare.

Il PD è nuovamente in evidente crisi di identità, ma invece di chiedersi cosa voglia il suo zoccolo duro veterostalinista, si è mai chiesto, invece cosa voglia il Paese?

Gli italiani non ne possono più delle barricate e non ne possono più dei proclami e delle dispute ideologiche sulle questioni gravi che affliggono l’orgoglio e la dignità del Paese. Per gli italiani una cosa è la solidarietà verso i diseredati del mondo, altra è la tolleranza agli abusi; una cosa sono il multilateralismo, la multietnicità, il pluralismo culturale ed altra la delinquenza, l’inganno, la violenza e l’arroganza.

Se il PD non cresce nella cultura della democrazia liberale, in cui le scelte le fanno gli elettori e dove i doveri hanno lo stesso peso dei diritti, non ha futuro, anche se cambia il suo segretario.

Vito Schepisi    su l’Occidentale

Il danaro immaginario del Benchmark sullo Spending Review

febbraio 16, 2009

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Il danaro nasce nell’antichità come unità di scambio nei rapporti tra mercanti. Era fungibile con le merci ed altri beni. Tuttora sono rappresentativi del danaro servizi  ed oggetti di varia natura.

La caratteristica allo stesso tempo sofisticata e rivoluzionaria del danaro ha modificato profondamente la gamma dei valori materiali creando per ciascuno un metro di valutazione: dalla materia prima al prodotto finito, attraverso il lavoro, i consumi, i rischi e gli ammortamenti.

Il sistema, sempre più ai tempi con l’informatica e la velocità delle comunicazioni, ha riservato alle banconote una circolazione reale più contenuta, privilegiando l’utilizzo di mezzi sempre più sofisticati per sostituirle, tanto più per beni non al dettaglio, negli scambi commerciali e nelle transazioni economiche.

La qualità dei beni sostitutivi, però, hanno una sostanza concreta che è alla base della loro fungibilità. Una volta, per lo Stato, le masse circolanti di danaro erano essenzialmente legate alle riserve auree. Ora il riferimento è agli scambi commerciali globali ed al PIL del Paese e della Comunità Europa (la banca emittente, una volta rappresentata dalla Banca d’Italia, è oggi la Banca Europea). Per le transazioni interne di fungibilità ci sono invece merci di ogni tipo, dall’oro ai crediti, a terreni ed agli immobili, quando non ai progetti di realizzazione, ovvero danaro futuro.

Non è mai capitato che il danaro sia reso fungibile dalle astrattezze e dalla fumosità di pensieri degli uomini, neanche se con le idee ‘ in the american dream ‘ e con la casa a Manhattan.

Non è mai capitato che si sia reso spendibile quello che si ricava da calcoli di disperazione e/o dai buoni propositi. E’sempre consigliabile, per chi ha responsabilità di governo, o per chi intende averne, tornare al pallottoliere per far di conto. L’economia, tutto sommato, è una scienza esatta che costringe sempre a far quadrare ogni cosa, per come è e non per come si vorrebbe che fosse.

Il leader dell’opposizione, ha finalmente indicato le proposte alternative del suo governo ombra, dopo esser stato più volte accusato di dire sempre di no, senza fornire proposte alternative se non vuote asserzioni di principio, buone per i comizi, ma non per andare a Bruxelles e presentare i conti del Paese e farseli approvare in quanto compatibili con gli obiettivi programmati, il debito, la capacità produttiva, i parametri di Maastricht, gli obiettivi di riassorbimento della fase depressiva dovuta alla recessione mondiale e gli obiettivi di pareggio del bilancio statale.

Il Piano Veltroni ha dell’incredibile per due ragioni.

La prima è che pur avendo molti ministri ombra rivenienti dai ministeri veri nel governo di Romano Prodi, annuncia un’ipotesi di netta divergenza con quell’indirizzo politico. Taglio delle tasse, cento euro al mese per tutti i redditi al di sotto di 30.000 euro l’anno, oltre alla cassa integrazione anche ai contrattisti a progetto, occupazione femminile, un milione di nuovi posti di lavoro e mille treni in più per i pendolari. Costo? Solo 16 miliardi di spesa complessiva.

E Berlusconi che ne vuole spendere 80 senza offrirci tutto questo patrimonio di virtuosità!

La seconda ragione è che solo la distribuzione di 100 euro al mese per i redditi al di sotto dei 30.000 l’anno, moltiplicato per circa 25 milioni di lavoratori in questa condizione, ci costerebbero già 30 miliardi. Se si aggiungono ancora la cassa integrazione ai precari, il calo delle tasse per tutti, gli investimenti per l’occupazione (sarebbe già tanto mantenerne i livelli!) dove arriviamo?

Un capitolo a parte meriterebbe l’analisi delle risorse da reperire e cioè le fonti di questo danaro da distribuire agli italiani. Per Veltroni ci sono le formule magiche “spending review sulla quale fondare una sistematica operazione di benchmark  e la “green economy” – e per cosa allora la casa a Manhattan? Immaginiamo la faccia di Tremonti nel leggere questi buoni propositi: sarà diventato più rosso del solito dinanzi a queste grosse emozioni!

Danaro immaginario: una vera stamperia nel cervello!

Dinanzi a queste fantasie, tutte da comprendere, se la prima significa un programma di taglio alle spese e la seconda un piano di investimenti nel campo delle diversificazioni delle fonti energetiche, con le conseguenti economie da finanziare con l’aumento delle tasse sulla benzina, siamo alle solite e siamo dinanzi alle contraddizioni di sempre.

Vito Schepisi

Scalfaro arroccato con enfasi sui principi astratti

febbraio 13, 2009

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Tutti si rivolgono contro tutti con “rispetto” e “pacatezza”. Prima Veltroni, poi Di Pietro ed ora Scalfaro: “Ci rivolgiamo al Presidente del Consiglio con rispetto e con pacatezza: non ci faccia vivere giornate con timori che riguardano la nostra Patria, la sua libertà e la sua democrazia”.

Da che pulpito!

All’esimio ex Presidente della Repubblica, giudicato da molti il peggiore della Storia d’Italia, democristiano di lungo corso sin dalla Costituente, storicamente considerato come uomo della destra DC, chiediamo anche noi con “rispetto” e “pacatezza” conto di quei cento milioni mensili che da Ministro dell’Interno del Governo Craxi percepiva dal SISDE, i servizi segreti italiani dell’epoca. Chiediamo al senatore Oscar Luigi Scalfaro, sempre con il dovuto “rispetto” e con la dovuta “pacatezza”, di dar conto e documentazione del suo utilizzo e se possibile di spiegarci a che titolo li ha percepiti.

Per essere credibili, quando si richiamano altri ai grandi sentimenti patriottici e si sollecita la difesa della libertà e della democrazia, richiamando i principi costitutivi che rappresentano l’unità nazionale ed il rispetto dei ruoli istituzionali, è necessario esser stati sempre virtuosi. E’ più difficile farlo quando si sono lasciate zone d’ombra dove il sospetto inevitabilmente si annida. E’ stato proprio un politico, sodale con la manifestazione in Piazza SS Apostoli a Roma, che ha teorizzato in passato che il sospetto sia l’anticamera della colpa.

E’ apparsa solo una manifestazione pretestuosa quella che ha visto uno sparuto gruppo del Partito Democratico manifestare contro il presunto attacco di Berlusconi alla Costituzione, ed è stata sgradevole la presenza di chi non avrebbe niente da insegnare a nessuno.

Pretestuosa perché, invece di dar conto di proposte o di motivato dissenso alla linea delle riforme della maggioranza – riforme richieste un anno fa dallo stesso Veltroni, quando le contrapponeva alle elezioni anticipate, ritenendole allora persino indispensabili per poter offrire al Paese stabilità e governabilità – si è preferito solo dar conto di un chiassoso dissenso con la linea del Governo sulla recente questione del decreto che avrebbe consentito di salvare la vita di Eluana Englaro.

Appare così in tutta la sua impropria ed intrecciata doppiezza la retorica del cattolico Scalfaro contro un Governo ed un Presidente del Consiglio che intendeva salvare una vita e che a tal fine teneva a sottolineare che nessuna interpretazione della Carta Costituzionale potesse aver maggior valore della vita di un essere umano.

Per le riforme, anche della seconda parte della Costituzione, c’è una bozza Violante della scorsa legislatura che ha trovato ampi consensi nella nuova maggioranza e che può essere un punto di partenza importante per metter mano alla  modifica di quei punti che necessitano di aggiornamenti.

Dalla manifestazione del PD, invece, nessun segnale di dialogo e di confronto. Nessuna proposta concreta. La difesa dei principi di libertà e di democrazia si attua invece con le riforme. Queste sono gli strumenti che favoriscono lo sviluppo della società, la governabilità e la tempestività degli interventi di chi, in virtù del consenso elettorale, ha responsabilità di governo. Lo spirito  riformatore dovrebbe spingere a rivedere la Giustizia per rispettare i diritti di tutti e per garantire il suo esercizio effettivo e puntuale. Quello di Scalfaro e Veltroni è sembrato, invece, uno schieramento conservatore arroccato con enfasi sui principi astratti.

Non si è ascoltata alcuna riflessione che abbia preso atto che la velocità delle comunicazioni e dei flussi delle economie mondiali, in tempi di globalizzazione, impongono al sistema delle decisioni  tempi di assoluta brevità. E’ sembrata piuttosto la solita kermesse di coloro che alzano la voce perché non hanno nulla di serio da dire. È mancata persino la presa d’atto che la Costituzione sia sorta in un momento difficile per il Paese e che ha una struttura adeguata a quel momento caratterizzato da forti tensioni.

Sarà per questa incapacità di avere buon senso e per la mancanza di presa del PD, di Scalfaro e della opposizione tutta, come difensori dei valori di libertà e di democrazia che a Piazza SS Apostoli è stata stimata una presenza inferiore a mille persone.

Vito Schepisi

Nella scuola di oggi è possibile dissentire dal dissenso?

febbraio 5, 2009

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La notizia ha dell’incredibile! Ma nella scuola italiana ci sono ancora sacche di nostalgia di regime? C’è ancora chi ritiene che sia necessario essere tutti della stessa idea e che la ragione di partito o di casta o di fazione, o della più bieca e codina stupidità umana, debbano avere sempre ragione?

E’ tollerabile che se si sia “a sinistra per Veltroni” e se si sia dirigente scolastico, anche la scuola si debba uniformare in modo totalitario al pensiero unico della Preside?

Ma chi vince un concorso a dirigente scolastico ha forse diritto di condurre un’armata politica?

Ha dell’incredibile quanto è capitato a Roma ad una ragazzina di 15 anni, diligente ed autonoma, ma con la colpa di non essersi fatta trascinare dall’onda quando, senza neanche sapere per cosa, migliaia di ragazzi disertavano le lezioni e scendevano in piazza a manifestare contro il decreto Gelmini, dai più neanche conosciuto. E’ un episodio di intolleranza che non può rimanere sottaciuto e senza conseguenze perché è diseducativo, perché è un grave precedente, è illiberale, autoritario e … diciamolo pure, è un comportamento reazionario e  “fascista”. La magistratura, il ministero hanno il dovere di intervenire.

La ragazzina ha avuto un bel “sei” in condotta senza aver mai avuto una sanzione disciplinare, senza essere stata mai scortese con i suoi professori e senza aver mai assunto atteggiamenti dissociati dai suoi compagni, se non nel ritenere strumentale la protesta contro il ministro Gelmini ed essersi sfilata sia dagli scioperi che dall’autogestione nella sua scuola.

La ragazzina, finita la contestazione al decreto, con la scuola tornata alla calma e con le onde già acquietate, è stata convocata dalla Preside del suo Istituto per sentir ancora parlar male del decreto Gelmini e di ciò che, secondo la dirigente scolastica, non andasse in quella legge e per sentirsi contestare una presunta sua responsabilità per aver mancato nel non dar credito alla contestazione dei professori e degli studenti.

La difesa della ragazzina, minorenne, nel sostenere invece di voler ragionare col proprio cervello e di non volersi far strumentalizzare è risultata inutile e forse anche  irritante agli occhi di chi è “a sinistra per Veltroni”, per essersi la Preside candidata in una lista vergata con quello slogan, all’assemblea regionale del PD.  

Se questo non è un messaggio diseducativo?

Se non è dirompente il messaggio di un  Dirigente Scolastico che convoca degli adolescenti che non hanno scioperato per contestare le loro scelte di pensiero?

Se non è diseducativo l’atteggiamento di una Preside che si lascia andare, quasi fosse impegnata in un comizio politico, a dissentire dal governo e dal ministro della P.I., e disprezzare la ferma e coraggiosa rivendicazione di una giovane per la sua autonomia di pensiero e di scelta?

Ma può una preside censurare il pensiero, moderato, ma fermo e coerente, di un suo studente?

Ma quale educazione di vita viene impartita oggi nella scuola ai nostri giovani?

Alla mamma della ragazzina che chiedeva spiegazioni, la stessa Preside ha voluto ancora una volta e con caparbia ostinazione, far valere le sue ragioni politiche di contrarietà al decreto, ed al reiterare della rivendicazione della genitrice, preposta in prima persona ad impartire l’educazione di vita ai propri figli, del diritto di non essere d’accordo e della legittimità dei giovani nel voler ragionare con la propria testa, la mamma s’è sentita strillare addosso che non le poteva insegnare il mestiere.

Questa Preside, se sta nella scuola, e per il tempo che sta, dovrebbe avere il buon senso di sdoppiarsi dalla sua collocazione “a sinistra con Veltroni”….o c’è bisogno che qualcuno le ricordi che quella è un’altra assemblea?

Vito Schepisi

 

 

Libertà politica o libertà dalla politica?

febbraio 4, 2009

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La proposta di riforma della legge elettorale per le elezioni europee è passata in uno dei due rami del Parlamento, alla Camera, e con il successivo passaggio al Senato diventerà legge in vigore. E’ passata alla Camera con il consenso di tutti i gruppi parlamentari, ad eccezione dei deputati radicali eletti nel PD e di quelli del Movimento per le Autonomie (Lombardo) eletti nel PDL, oltre che di pochi singoli parlamentari. Tre astenuti, 22 contrari e 517 voti favorevoli: un risultato netto che non si vedeva da tempo in Parlamento su una legge. Sarà ora difficile far marcia indietro al Senato, non essendoci in sostanza opposizione sul provvedimento. Neanche l’Idv di Di Pietro ha votato contro.

E’ bene chiarire che è stata una prova di prepotenza dei due schieramenti maggiori – il PD ed il PDL – finora invece in dura competizione nelle aule parlamentari su tutto.

Non può sfuggire, per convinzione diffusa, che un Parlamento diverso, composto da più gruppi, per l’esercizio arcinoto dei piccoli ricatti e dei veti incrociati, avrebbe incontrato più di una difficoltà per far passare una qualsiasi legge che penalizzasse la rappresentanza politica dei gruppi minori.

Anche lo sbarramento del 4%, unica novità di rilievo della legge, sembra più frutto di un compromesso che l’esito di una scelta strategica di portata bipolare. Nel PD con D’Alema c’è stata fino all’ultimo anche la tentazione di distinguersi ed abbassare lo sbarramento al 3%, ma è sembrata più una questione di immagine che un’effettiva volontà, per essere stata la soglia del 4% già frutto di una serrata e difficile mediazione.

L’incontro tra le richieste di maggioranza ed opposizione e la formulazione della legge varata alla Camera appare così più una fotografia del Parlamento attuale, che un orientamento dettato dall’esigenza della semplificazione della politica. Più un accordo elettorale per far fuori le galassie dei personalismi e per riempire il carniere degli eletti dei gruppi più grossi, che la costituzione di un tavolo aperto sulle questioni della governabilità del Paese. Più un espediente partorito dal calcolo, che l’avvio di un confronto sulle riforme, per iniziare a discutere sulle scelte di una democrazia  pluralista che privilegi le opzioni della governabilità.

E’ apparso un calcolo elettorale in cui il Pdl ha approfittato dell’interesse del PD a frenare le tentazioni centrifughe, nonostante che Veltroni si sforzi a dire che sia stata “una convenienza di evoluzione del sistema politico più che di calcolo elettorale”.

Ma agli italiani, agli elettori queste cose interessano meno. I fautori del bipolarismo ritengono la soglia del 4% assai bassa, mentre i militanti dei piccoli partiti la ritengono troppo alta, e ritengono che nel complesso sia una legge che limita il pluralismo e la democrazia. Mastella diventa persino solenne e parla di offesa alla libertà e al pluralismo che sono componenti essenziali della democrazia“.

Ma nel Paese è bene che si ponga al più presto la questione che si dipana dal dubbio se si debba privilegiare la libertà politica o la libertà dalla politica. L’aria di protesta che trae linfa dalla questione morale e che fa sorgere o gonfiare movimenti che si propongono di “giustiziare” i colpevoli, anche attraverso processi sommari nelle piazze o nelle arene televisive dove agiscono “reucci” e “censori” che si auto-proclamano difensori delle virtù popolari, appartiene al partito della libertà politica o a quello della libertà dalla politica?

Siamo a questo punto perché il Paese si avvolge intorno ai personalismi, alle guerre tra bande, anziché iniziare un percorso di scelte per la governabilità nell’interesse di tutti. Siamo a questo punto perché lo spazio della protesta civile è stata appaltata da uomini senza storia e senza tradizioni e che nulla hanno a che fare con la civiltà e le conquiste democratiche dell’Italia.

L’ideale sarebbe avere il coraggio di promuovere le vere ed indifferibili riforme, da quella elettorale a quella costituzionale, perché ci sia libertà “di” e libertà “da”, togliendo per un momento, per come è (male) inteso oggi in Italia, il sostantivo “politica”. Nelle democrazie compiute ci sono maggioranze ed opposizioni legittimamente costituite che si rispettano e si alternano al governo e senza i Mastella, di Di Pietro, i Casini, la stessa Lega ed altri che, ai lati, o nell’area di mezzo, sono portatori di furbizie e di particolarismi, nonché manovrati da caste corporative ed egoismi locali.

Vito Schepisi