Archive for the ‘etica e costume’ Category

“NON IN MIO NOME”

luglio 28, 2009

Serventi Longhi

Le federazione mondiale della stampa ha espulso dall’associazione la federazione israeliana. L’espulsione è avvenuta per una questione di quote associative, ma nelle more di una trattativa in cui Israele ne lamentava l’esosità, rispetto alle quote pagate da altri paesi dell’area mediorientale.

Sembra che l’accordo, a detta dei rappresentanti israeliani, fosse stato già raggiunto, ma che sia comunque prevalso il sentimento antisionista dei diversi rappresentanti della federazione. Ciò che è incomprensibile (e ci sgomenta) è che alla fronda anti-israeliana abbia aderito anche la federazione italiana rappresentata da Paolo Serventi Longhi.

Per iniziativa di “NON IN MIO NOME”, un gruppo su FB composto da giornalisti italiani, tra cui Sergio Stimolo, Onofrio Pirrotta, Pierluigi Battista, per citarne i primi in elenco, e circa 1500 firme di blogger, lettori, cittadini comuni, (le firme sono ora diventate quasi 2000) è stata inviata una lettera alla FNSI in questi termini:

All’attenzione di:  Franco Siddi , Segretario della Fnsi  e Roberto Natale, Presidente della Fnsi

Egregio Segretario, egregio Presidente,

dopo lo scandaloso e vergognoso voto con il quale i membri dell’esecutivo della Federazione internazionale dei giornalisti hanno espulso i colleghi israeliani, senza ascoltarne le ragioni, vi chiediamo:

a) Il voto del rappresentante italiano, Paolo Serventi Longhi, è stato concordato con la segreteria e/o con la giunta della Fnsi?

b) Dopo la polemica vicenda delle quote (sollevata dai colleghi israeliani in seguito alla costante esclusione da momenti importanti della Federazione internazionale, come l’aver tenuto all’oscuro i giornalisti israeliani di una missione investigativa sugli eventi di Gaza. E che in ben due occasioni, a Vienna e a Bruxelles, i giornalisti israeliani sono stati esclusi dagli incontri sul Medio Oriente), pensate anche voi, come Serventi Longhi, che l’unica soluzione fosse quella burocratica, invece che avviare finalmente un chiarimento politico al vertice della Fig?

c) E’ utile per noi italiani far parte di questo organismo non democratico che costa alla Fnsi – quindi alla tasche di tutti gli iscritti – circa 100 mila euro l’anno?

d) Sono stati mai esaminati dalla Fig e dai suoi vertici gli omicidi di colleghi in Iran, in Cecenia, e in altre parti del mondo?

e) E’ mai stata presa una posizione ufficiale su questi tragici avvenimenti?

f) La Federazione internazionale è mai intervenuta sui giornalisti di quelle tv arabe che reclamano “la morte di tutti gli ebrei”?

A nome di oltre 1.500 aderenti (giornalisti e lettori) vi chiediamo di prendere pubblicamente le distanze da una decisione vergognosa e inaccettabile dalla società civile. E di promuovere, contemporaneamente, un’indagine sull’intera attività della Federazione internazionale, con una commissione di cui faccia parte qualcuno degli amministratori di questo gruppo, sospendendo , nel frattempo, la partecipazione della FNSI alle attività della Federazione Internazionale.

Vogliamo saperne di più, poiché funziona anche con i nostri soldi.

Sergio Stimolo, Onofrio Pirrotta, Pierluigi Battista, Silvana Mazzocchi, Cinzia Romano, Mariagrazia Molinari, Gianni de Felice, Paola D’Amico, Nicola Vaglia, Enzo Biassoni, Paola Bottero, Luigi Monfredi , Antonio Satta, Maria Laura Rodotà, Stefania Podda, Marida Lombardo Pijola, Daniele Repetto, Dimitri Buffa, Emanuele Fiorilli, Antonella Donati, Paola Tavella, Anna Maria Guadagno, Monica Ricci Sargentini, Maria Teresa Meli, Giovanni Fasanella, Mirella Serri, Stefano Menichini, Marina Valensise, Gloria Tomassini, Franca Fossati, Mariella Regoli, Claudio Pagliara , Daniele Renzoni, Daniele Moro (seguono altre 1.500 firme)

ROMA 22 luglio 2009

La risposta della FNSI è arrivata 4 giorni dopo sul sito dell’associazione

http://www.fnsi.it/Esterne/Pag_vedinews.asp?AKey=10100 

In un primo momento la diversità dei caratteri grafici, quasi illeggibili quelli della lettera di protesta, fa comprendere il fastidio della risposta (arrivata dopo che la casella e.mail della FNSI era stata invasa dai messaggi dei lettori indignati). Solo il giorno dopo,  inondata dalle proteste e dal ridicolo, la Fnsi ha adeguato i caratteri grafici. In precedenza la lettera del gruppo “NON IN MIO NOME” era prima apparsa, priva di commenti, sul sito FNSI e poi scomparsa, per ricomparire nuovamente nel pomeriggio di domenica 26, accompagnata dalla risposta con caratteri in grassetto del Presidente della FNSI, Roberto Natale.

Ora, parlare della fiera del nulla, rispetto alle questioni poste dai richiedenti di “NON IN MIO NOME” può sembrare un eufemismo. L’impressione che se ne trae è che si tratti di ben altro. E ciò che se ne ricava è una vergogna che non ci fa onore.

La seguente semplice riflessione ci porterebbe a conclusioni di estrema gravità. Se –  come afferma il Presidente della FNSI Roberto Natale – “L’uscita di Israele, naturalmente, non può essere ridotta a burocratica lettura dei libri contabili”, due sono le cose: o c’è ben altro (antisemitismo della FNSI?) o c’è  incoerenza. La prima ipotesi sarebbe gravissima, ma la seconda … altrettanto!

Per quale delle due ragioni, dunque, Serventi Longhi ha votato per l’esclusione della federazione israeliana? Ed a nome di chi?

Vito Schepisi

I colpevoli non pagheranno

febbraio 10, 2009

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E’ morta Eluana

È morta nel peggiore dei modi,

tra le polemiche, tra gli inganni, tra le ipocrisie.

E’ morta di fame e di sete, come da sentenza di un tribunale.

E’ morta senza sapere, senza capire: è morta senza pietà.

Milioni di bicchieri di acqua, milioni di tozzi di pane

 erano pronti per nutrirla e per dissetarla.

Milioni di bambini, di donne e di uomini,

milioni di essere umani hanno pregato per Lei.

Hanno pregato per Eluana, per la sua vita,

hanno pregato contro la morte, perché è così da sempre.

Perché la vita è la naturale avversaria della morte.

L’hanno uccisa Eluana?

Di certo l’hanno condannata a morte!

L’ha uccisa la burocrazia, l’ha uccisa l’ostinazione,

l’ha uccisa il presunto valore supremo di uno Scritto.

Si pensava che la Carta suprema di una Nazione servisse alla vita.

Per i valori della fedeltà alla Nazione e per la sua identità,

sono morti nel tempo migliaia di uomini che abbiamo chiamato eroi.

Difendevano i confini del loro Paese

per dar sicurezza ai loro cari, ai fratelli, ai bambini, alle donne.

Non sapevamo che per i principi di una fedeltà burocratica

si potesse, invece, consentire che si strappasse una vita.

Eluana è morta è stata uccisa e, come sempre accade, in Italia

I colpevoli non pagheranno.

 

Vito Schepisi

Di Pietro è un uomo contro il Paese

gennaio 29, 2009

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Questa volta il forcaiolo d’Italia ha valicato una punta ancora più alta del suo reiterato delirio. Nell’attacco di Antonio Di Pietro e dei suoi amici alle istituzioni è coinvolta la funzione del Parlamento, la legittimità del Governo e l’onorabilità del Presidente della Repubblica. Si avverte un’offesa al Paese, alla maggioranza dei suoi cittadini, alla democrazia ed alla dignità del confronto politico. Si ha l’impressione che l’alzo del tiro sia conseguenza del basso livello di popolarità che Di Pietro e l’intero movimento dell’antipolitica stia registrando e che si usino, ancora una volta, le espressioni più colorite ed irriguardose verso le istituzioni per riscaldare le piazze, come usano fare i dittatori che hanno bisogno d’inventarsi un nemico per soddisfare la rabbia del popolo.

E’in atto con Di Pietro, col suo partito e con la compagnia dell’antipolitica, una vera deriva sfascista dell’opposizione politica. Una deriva a cui presta il fianco Veltroni ed il Partito Democratico, incapaci di scrollarsi di dosso la stretta mortale dell’ex magistrato. C’è la percezione di un attacco forsennato, irrazionale, viscerale e violento alla democrazia, alla libertà, alla serietà, alla governabilità del Paese, oltre che alla legittimità istituzionale dei suoi rappresentanti.

Il giorno dopo della Giornata della Memoria, per meditare sull’Olocausto, il metodo Di Pietro, fatto d’odio e di condanne sommarie e pregiudiziali, induce ancor più a riflettere.

La ferocia e le espressioni più atroci dell’animo umano covano sempre nell’intolleranza e nell’ignoranza di quegli uomini che adottano le teorie giustizialiste e fondamentaliste per esercitare le proprie vendette, per appagare le proprie frustrazioni o ancor più semplicemente per arricchire il bottino delle invasioni nei luoghi della discussione e della rituale dialettica politica, saccheggiando le coscienze ed inficiando le conquiste di spazi di civiltà e di democrazia.

Nessuna attenuante, nessuna giustificazione politica, può essere concessa a chi non ha mai proposte da avanzare ma solo dosi di veleno da somministrare al Paese.

Quello del percorso disfattista e reazionario è un indirizzo che accomuna tutti gli uomini impulsivi ed autoritari e tutti i demagoghi, anche se nel caso in questione si tratta solo di un furbo ex magistrato che non ha ancora spiegato al Paese i veri motivi del suo abbandono della magistratura per abbracciare, sull’onda della notorietà per le sue prestazioni eterodosse nelle istruttorie processuali, la carriera politica.

Gli spunti vengono dai provvedimenti di questo Governo in tema di Giustizia, dalla legge nota come “Lodo Alfano” mirante ad impedire che le quattro più alte cariche dello Stato, nel corso del mandato, possano essere sottoposte a processo penale, dalle iniziative per le limitazioni alle intercettazioni telefoniche e, ancor più a valle, dalla riforma dell’Ordinamento Giudiziario.

C’è una crisi della giustizia che è tangibile e che è avvertita dai cittadini e dalle istituzioni. La Corte di Giustizia Europea sottopone a più riprese l’Italia a formale condanna con le conseguenti sanzioni per i casi di giustizia negata, per i casi di giustizia deviata e per i casi di giustizia male erogata. Prendere atto della necessità di cambiare le cose e prendere l’iniziativa di modificare l’ordinamento giudiziario diventa indifferibile ed urgente, mentre, al contrario, ostacolare e difendere nel complesso l’esistente diventa colpevole ed omertoso.

C’è inoltre la necessità di rasserenare il confronto politico e sociale nel Paese, e non solo per poter tranquillamente analizzare e risolvere le questioni della giustizia, ma anche perché c’è una crisi difficile da cui è possibile poter uscire senza grossi traumi, ma con il sostegno, l’aiuto e, laddove possibile, con la fiducia di tutti, ad iniziare dalle forze politiche e dalle rappresentanze sociali.

I tentativi reiterati di Di Pietro di avvelenare i pozzi del confronto, per raggiungere fini politici di parte, devono preoccupare. Si constata l’incapacità dell’opposizione di isolare la deriva illiberale e frenante del leader dell’Idv, mentre occorrerebbe che si faccia interprete della necessità delle riforme. La questione morale passa anche attraverso la capacità di rinnovare le funzioni dello Stato, di responsabilizzare la politica, di riformare la giustizia e di fornire sistemi elettorali che, assieme alle possibilità di scelta degli elettori, assicurino la governabilità.

L’Italia non ha bisogno di odio e di giustizialismo, ma di giustizia e di riforme.

Vito Schepisi

Cos’altro doveva capitare a Napoli per far dimettere la Jervolino?

gennaio 6, 2009

iervolino

Jamme Jamme, signora Jervolino, su tolga il disturbo! Solo il pensiero di risparmiare ai suoi concittadini napoletani la sua voce gracchiante sarebbe già “na’ bella pensata”.

Non sono bastati 4 assessori arrestati ed un altro morto suicida per farle comprendere d’essere inadeguata per la guida di Napoli?

Non è ancor contenta del danno arrecato alla città più estroversa del mondo?

Non si sente affatto responsabile per non essere riuscita ad intercettare le trame che si svolgevano all’ombra della sua gestione?

Una persona normale si sarebbe già dimessa da tempo! 

Ponga fine alla sua “tarantella”: non ha “le physique du role”.

Quello d’essere primo cittadino di Napoli è un incarico gravoso per chiunque, ma del suo impegno non se ne sentirà affatto il bisogno: non è indispensabile, e la sua ostinazione diventa inquietante.

Di Napoli abbiamo un’immagine che amiamo conservare, malgrado la protervia del sindaco nel volerci far cambiare idea. Se la signora Rosetta ama la sua città, tolga subito il disturbo, altro che presentare la nuova Giunta! Anche il segretario provinciale del suo partito si è dimesso in dissenso .

Sindaco ci ripensi! Comprendiamo la sua  insoddisfazione per dover porre termine in modo inglorioso alla sua carriera politica, ma la responsabilità è solo sua!

Cosa pretende ora dai napoletani? La finisca di affliggerli!

Ha già l’età per la pensione: abbia anche un briciolo di dignità! Suvvia coraggio, molli! Vedrà che poi ci sarà poi un coro di consensi per lei.

Napoli è la città di sognatori, dei filosofi, degli scrittori, degli artisti e dei poeti, ma oggi, invece, se ne parla, purtroppo, solo per la spazzatura e per la questione morale, e quando se ne parla vengono in mente due ritratti: quello della Jervolino e quello di Bassolino “o’ presidente”.

Pensiamo che ci sia di meglio a Napoli ed in Campania: ne siamo sicuri!

Amiamo Napoli, ci affascina la sua cultura, quella popolare, ci incuriosisce la sua filosofia di vita, e la gente con il suo congenito relativismo. Ci piace lo stile, spesso disarmante ma umano, ci piace quel modo dei napoletani d’essere disincantati. Perché questo sindaco vuole ancora infierire?

Si è tirata fuori dalle responsabilità per la spazzatura, mentre le cronache riportavano la notizia che le strade vicino alla sua abitazione erano sgombre e pulite. I problemi, però, c’erano prima del suo avvento, c’erano con Bassolino e forse anche prima, ma con lei tutti i nodi sono venuti al pettine. Inesorabilmente! E’ come la storia del cerino che non ha più stelo e  brucia tra le dita dell’ultimo arrivato. Ci dispiace, ma le dita che restano bruciate sono proprio le sue.

A Napoli sorridono insieme poveri e ricchi, felici ed infelici, giovani e vecchi. A Napoli fortuna e malasorte sono le due facce di una stessa medaglia, ed invidia e rancore si fondono nell’ironia con naturale allegria. Tutto questo rende straordinaria ed unica al mondo questa città. Un bene dell’umanità da proteggere, difendere, persino consolidare.

Napoli è miseria e nobiltà, per rievocare Totò, ma ha la sventura di avere oggi la peggiore classe politica del dopoguerra, e ci sembra di vedere mutare anche  il modo d’essere dei napoletani. Si è rotto quel filo sottile che ha segnato per anni i confini tra legalità ed illegalità. Oggi prevalgono gli interessi di parte, quelli del malaffare sulla difesa dei diritti primari. Prevale, ad esempio, come si è visto, il principio della valorizzazione dei suoli nella prossimità delle discariche, sugli interessi generali della salute di tutti.

La destrezza e la furbizia sono stati per anni “un’arte sottile” praticata persino con umanità. Anche i professionisti della patacca, che organizzavano con elegante maestria  i pacchi ed i contropacchi, ci facevano sorridere.

Oggi invece i mariuoli ci preoccupano.

Nella società si è insediato il malanimo ed il malaffare. E’ cresciuta una classe politica cinica ed arrogante, sensibile solo alla lotta per il potere, che imprime il suo avallo allo scempio e all’abuso.

Napoli, purtroppo, è cambiata in peggio. 

Sindaco Jervolino si dimetta, per favore, si tolga dai piedi! 

Vito Schepisi 

 

Pensavano che fosse un valore, invece era un nuovo calesse

dicembre 30, 2008

dipietrocristiano-lascia-idvE’ strano, ma proprio chi si richiama ai valori e che fa della correttezza nei comportamenti degli eletti la ragione principale, e forse unica, della propria identità politica, assume oggi i tratti del più contorto politichese ed agisce da struzzo, come tanti, come sempre, come tutti.

Il poliziotto Di Pietro Cristiano, eletto al Comune di Montenero di Bisaccia ed alla Provincia di Campobasso per l’Idv, poliziotto in aspettativa per motivi politici,  si è dimesso dal partito dove comanda solo ed indisturbato il padre, anche se…“poi, quando tutto sarà chiarito, ne riparleremo”.

Ed il padre è quell’Antonio Di Pietro, ex PM, dimessosi dalla magistratura per ragioni che sono ancora ignote, che dichiara che il gesto del figlio è stato “un gesto corretto e per certi versi forse eccessivo”.

Sembra un’opera pirandelliana, un classico tocco da commedia degli equivoci.

Signor Di Pietro Jr, ma delle sue dimissioni dal partito di suo padre non ce ne pò fregà de meno!

Lei, per coerenza con quanto sostiene il suo papà, dovrebbe dimettersi dai consigli in cui è stato eletto e dovrebbe ritornare a lavorare come fanno i suoi colleghi poliziotti, e milioni di italiani che non hanno un partito tagliato su misura dal proprio genitore, approfittando dell’onda della notorietà di una stagione giudiziaria densa di ombre e con seri e diffusi dubbi sull’imparzialità giudiziaria, e con forti sospetti di strumentalizzazione politica.

Suo padre, distintosi come fustigatore dei cattivi costumi degli altri, ma restio a dare spiegazioni agli italiani sulle tante ombre della sua carriera di studente, poliziotto, magistrato, politico e leader di partito, è quel signore che, ministro di Prodi, è apparso così raffinato nel definire “magnaccia” il leader dell’opposizione Berlusconi, quando questi aveva chiesto al Direttore di Rai Fiction Agostino Saccà di far fare un provino ad un paio di attricette.

Figuriamoci cosa avrebbe detto di lei, se non fosse stato suo padre e se aderente ad un altro partito!

Si è mai chiesto come si entra a lavorare in Rai? Avrà però certamente chiesto invece a suo padre come si diventa famosi in Italia, dove più che la giustizia valgono le caste ed il “politicamente corretto”! Ci pensi, appuntato Cristiano chieda, nel caso, e ci faccia sapere!

Nel frattempo ci spieghi quanto possa interessare, invece, al Paese il fatto che lei debba passare dai gruppi dell’Idv al gruppo misto, nelle amministrazioni locali dove è presente?

E dato che siamo nel campo delle spiegazioni, ci confermi pure che l’incarico di capogruppo dell’Idv alla Provincia di Campobasso le sia stato affidato per i suoi meriti e per le sue capacità, più che per essere il rampollo di cotanto genitore.

Ci sono molti italiani che ritengono che sarebbe stato più corretto se lei si fosse dimesso da entrambi i consessi elettivi, dove ha raccolto i voti di coloro che hanno ritenuto, seguendo il giustizialismo dell’ex magistrato Di Pietro, di poter moralizzare la vita politica.

Lei, pertanto, non doveva affatto dimettersi dal partito, dove mi sembra sia ben inquadrato, ma dai consigli degli enti in cui è stato eletto. Gliel’ha suggerito suo padre di dimettersi solo dal partito?

Ma se suo padre era interessato a questa nuova sceneggiata, ai danni dell’intelligenza degli italiani, doveva avere il coraggio di espellerla.

Lei, se ci pensa bene, è stato sorpreso a praticare le stesse trame affaristiche che l’Antonio Di Pietro, col suo partito forcaiolo, contesta ogni giorno agli altri protagonisti della politica del Paese.

Che sagoma quel suo papà!

A che vale, invece, come lei ha fatto, dimettersi dal partito, con riserva di rientrarci dopo l’esito (mi auguro positivo per lei) dell’inchiesta sugli appalti di Napoli?

Anche senza rilevanza penale, come afferma suo padre, lei ha mostrato un profilo simile a tutti gli altri, al contrario di ciò che suo padre dice che debba essere per un militante dell’Idv.

L’ha fatto per non rinunciare al vantaggio del suo ruolo di amministratore ed a quello dell’aspettativa per motivi politici dal lavoro certamente più duro di poliziotto?

Ho sentito spesso parlare dell’Idv come del partito di opposizione più fermo contro il malcostume. Ho sempre avuto qualche dubbio che fosse veramente così: ora ho la certezza dell’esatto contrario.

Tutti pensavano che fosse un valore, ma era soltanto un nuovo calesse.

Vito Schepisi

In Politica per qualcosa da dire e non per qualcosa da chiedere

dicembre 29, 2008

ANTONIO DI PIETRO

C’è gente che lo vorrebbe vedere ammanettato ed in galera, come i tanti imputati passati dai suoi duri e sbrigativi metodi inquisitori, quando era PM a Milano.

C’è chi vorrebbe indurre Di Pietro a dover meditare sulla serenità persa da molti personaggi risultati innocenti, e chi indurlo, invece, a soffermarsi sulle vite spezzate di quegli imputati che per i suoi metodi si sono tolti la vita. Altri vorrebbero che per la nemesi storica si trovasse per lui, e per il suo simbiotico figlio, l’uguale rigore del giustizialismo forcaiolo e della cultura del sospetto che ha tolto il sorriso a tante persone, compromettendone irrimediabilmente l’immagine.

Noi invece vorremmo solo conoscere la verità.

Vorremmo che non ci fossero né privilegi e né accanimenti nei suoi confronti, e neanche nei confronti delle persone a lui vicine. Vorremmo che la legge fosse uguale per tutti e che fosse rispettata anche da coloro che godono dei favori di alcune procure.

Auspichiamo una magistratura responsabile e garantista, al servizio esclusivo del diritto e della legge, senza occhi di riguardo e senza accanimento per nessuno.

Un compagno di partito di Di Pietro, Leoluca Orlando (lo stesso respinto dalla maggioranza parlamentare per una commissione di garanzia come quella della Vigilanza Rai), ha sostenuto in passato che il sospetto sia l’anticamera della verità.

Ed ora i sospetti di tanti cittadini italiani sono sui motivi, sulle situazioni, sulle storie e sui rapporti che un uomo pubblico, leader di un partito, dovrebbe chiarire.

Gli italiani vorrebbero che fossero resi noti da Di Pietro, tra gli altri:

– i motivi del suo abbandono della magistratura;

– le situazioni di favore ottenute quando era PM a Milano;

– le diverse storie connesse ai contrasti coi suoi compagni di strada politica, collegate, stranamente per un partito che si richiama ai valori, alla divisione del finanziamento pubblico;

– i rapporti mantenuti dall’ex PM, dal suo figliuolo e da eventuali altri esponenti dell’Idv, con personaggi risultati inquisiti ed arrestati nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Napoli sugli appalti.

C’è, inoltre, un’ipotesi degli investigatori della Dia di Napoli che riguarda un reato grave. Lo stesso reato per cui, con sentenza di primo grado, un anno fa, è stato condannato a 5 anni di carcere Totò Cuffaro, Presidente della Regione Sicilia, giudicato colpevole di favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio: il reato d’informare una persona indagata d’avere il telefono sotto controllo.

Nel caso di Di Pietro, la Dia di Napoli ha sostenuto la tesi di una fuga di notizie, sulle indagini relative agli appalti del capoluogo campano, trapelate molto tempo prima (sei mesi) che arrivassero alla stampa.

Chi è stato informato? E da chi?

L’ex PM ha riferito ai giornali di aver trasferito il provveditore alle opere pubbliche della Campania e del Molise, Mario Mautone, perché era venuto a conoscenza di indagini a suo carico.

Di Pietro dica allora agli italiani chi l’ha informato delle indagini e perché suo figlio da qual momento non ha più risposto alle telefonate dell’ex provveditore Mautone?

Suo figlio sapeva che le utenze telefoniche erano sotto controllo?

E da chi l’ha saputo?

Un magistrato lo chiederebbe a chiunque e vorremmo che lo chiedesse anche a Di Pietro e suo figlio!

Di Pietro che pone la questione morale come presupposto per lo svolgimento dell’attività politica, non può rifiutarsi di fare chiarezza. Non può lasciare nel dubbio tutti i quesiti che in questi giorni vengono posti. Non può non sentire il dovere di chiarire le sue eventuali responsabilità e quelle del suo figliolo, anche a costo di dover rinunciare a far politica, come chiederebbe di fare ad altri.

Non è poi necessario che la famiglia Di Pietro faccia politica, soprattutto se gli esiti sono quelli che sembrano: nessun progetto politico, nessuna attività riformista e nessun buon esempio.

Di Pietro faccia allora ciò che dice che gli altri debbano fare nelle sue condizioni: si dimetta!

Faccia dimettere dagli incarichi anche il suo figliolo che, a quanto pare, sembra sia sintatticamente persino meno dotato di lui, pur essendo abbastanza propenso a ricercare favori ed a fruirne.

La storia del nepotismo e dei figli trainati dai padri per godere dei privilegi di casta sembrava una pratica abbandonata, un antipatico retaggio di immoralità nei comportamenti della politica.

E’ una pratica che purtroppo scoraggia chi ha qualcosa da dire, e non chi ha qualcosa da chiedere.

Vito Schepisi

Un Parlamento senza Mastella

marzo 7, 2008

mastella1_ap.jpgFa uno strano effetto sapere che Mastella stia fuori quest’anno. Eravamo abituati ai suoi cambi di campo, ai suoi colpi di scena, alle sue frasi allusive, ai messaggi cifrati, alla spontaneità della sua arroganza politica. Ci sembrava che fosse un tutt’uno con la politica italiana. Anche per la famiglia, pensandoci, non sembra che sia il solo ad averla. Del resto se c’è Veltroni non si riesce a capire perché non ci debba stare Mastella! Ognuno ha il suo ruolo, recita la sua parte, assume i toni di scena, riscalda il pubblico. Ciascuno come sa fare. Sono abili sia l’uno che l’altro. Due platee diverse, due pubblici diversi, due ruoli appunto diversi. Ma due interpreti geniali, quasi unici.Ci sono più di un’analogia tra i due. Per faccia tosta sono perfettamente in linea. Si potrebbe indire un concorso ed iscriverli d’ufficio. E sarebbe davvero una bella gara! Anche per giravolte politiche sanno ben seguire il vento che tira. Ma l’eccellenza la raggiungono nell’abilità della disinformazione. Hanno l’abilità di esser convincenti nel saper dire giusto il contrario di ciò che pensano e fanno. Sanno smentirsi con abilità e fingere con mimica professionale. Dalla tragedia alla commedia dell’arte, dalla sceneggiata all’avanspettacolo, alle comiche finali, solo mutando gli abiti di scena: davvero gran classe!Quando, ad esempio, Mastella affermava di essere un fedele sostenitore di Prodi, c’era da esser certi, come se colti da un riflesso condizionato, che stesse giungendo il momento di un suo improvviso colpo di mano. Come un classico effetto da teatro!La stessa cosa è valsa per Veltroni, ad esempio. Il leader del PD se a giorni alterni dichiarava il pieno sostegno al lavoro della maggioranza di centrosinistra e di Prodi, e non faceva distinzioni di opzioni politiche tra ciò che si andava sostenendo in quell’area da Dini a Bertinotti, attraverso mastelliani, socialisti, radicali e Di Pietro, nei restanti giorni ne minava la credibilità politica e programmatica. Come in un gioco delle parti, come se presagisse che a distanza di pochi mesi dovesse accreditarsi per il ruolo sia della maggioranza che dell’opposizione, come fa ora in campagna elettorale a seconda delle circostanze. Ricorda Gassman, il compianto Vittorio Gassman: il mattatore! Se Prodi parlava di una tale coesione del centrosinistra, da potergli tranquillamente garantire la conclusione del suo mandato alla normale fine della legislatura, Veltroni esprimeva condivisione e prometteva il suo apporto leale. Dopo qualche ora, però, apriva scenari nuovi, sia programmaci che istituzionali, ben sapendo che avrebbero reso irrespirabile il clima parlamentare. Se Prodi, ancora, insisteva sulla sostenibilità del programma dell’Unione e sulla sua coerente attuazione, Veltroni scopiazzava di già, sui temi della sicurezza, sui temi delle tasse, sui temi dell’impresa, su quelli dell’economia e sui temi della riforma istituzionale, le posizioni ed i programmi del centrodestra, ponendo persino in difficoltà ed imbarazzo il premier. Il Capo del Governo in carica si è trovato a volte costretto a svolte immediate ed a correzioni di tiro, come è accaduto sul disegno di legge sulla sicurezza, poi trasformato in decreto, sulla spinta delle emergenze nelle periferie romane. Si è avuta persino la sensazione di un’Italia dalle attenzioni diverse. Se la delinquenza ed il teppismo violento toccavano le città del nord, ad esempio, è parso che per il governo l’evento potesse ritenersi tollerabile e compreso in una casistica dei tempi difficili e di un prezzo da pagare in una società dai forti contrasti. Se la stessa violenza e criminalità toccavano la Roma del sindaco Veltroni, invece, l’impressione è stata che il caso diventasse di assoluta gravità e tale da richiedere interventi immediati. Un decreto ritenuto inadeguato se richiesto dall’opposizione, mancando a parere di Prodi i presupposti per la decretazione d’urgenza, diventava invece opportuno solo sulla parola di Veltroni. Ma anche il caso della spazzatura di Napoli veniva gestito dal governo e da Prodi con molta prudente compiacenza e senza richieste di rimozione dei responsabili politici della Città, della Regione e del Governo. Sono in molti a chiedersi oggi se la stessa compiacenza ci sarebbe stata in altre città d’Italia con Sindaco e Governatore estranei al PD di Veltroni.Era bastato, così, un atto efferato su Roma, come se nel resto d’Italia le efferatezze contassero meno, perchè l’urgenza diventasse tale ed il disegno di legge del governo diventasse subito decreto. E’ così è stato per la Giustizia. Quest’ultima è parsa come un olio che scivola sui corpi dei  personaggi appartenenti al PD, ma che diventa un macigno che schiaccia per altri, come Mastella, ad esempio.Altro che Pirandello! Altro che personaggi dalla personalità controversa! Quelle del centrosinistra in Italia sono parse vere e proprie comiche finali! Ora invece siamo all’avanspettacolo delle luci e dei colori dove si canta e si balla con spensieratezza. Ma i personaggi sono sempre gli stessi!Mastella è fuori ma restano Veltroni e Di Pietro, anche lui con famiglia e con l’uso personale di un partito, anche lui impegnato immobiliarmente. Senza Mastella all’ex PM gli viene a mancare la spalla, come i fratelli De Rege, dove uno dei due recitava la parte del sempliciotto.

Resta solo il dubbio dove Di Pietro se l’andrà a cercare la spalla nel nuovo Parlamento? E chi dei due sarà il sempliciotto?

Vito Schepisi

Quelli che il Programma PD

febbraio 29, 2008

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Leggendo il programma del PD c’è da porsi dinanzi ad un serio problema esistenziale. Tanti, infatti, sono stati investiti dal dubbio d’aver veramente vissuto una vita intellettualmente normale. Era tutto là, pronto: c’era la famosa ricetta per rendere felici gli italiani!

Nessuno era ancora riuscito purtroppo  a capirlo. Tanto meno Prodi! E’ proprio vero che le cose che sembrano più difficili sono sempre quelle che hanno le soluzioni più facili! E’ sufficiente avere un’intelligenza più frizzante. L’intuito del “si può fare”!

Non è utile solo approfondire e studiare i problemi, è necessario anche  pensare alla vita un po’ meno normale, anche a quella un po’ frivola fatta di feste, di notti bianche, di artisti di strada. Anche le sere e le notti passate con un bicchiere in mano, tra una battuta scontata, una citazione fuori posto, un sorriso inutile ed un po’ di memorie simil-epiche e divertenti dei tempi passati, ed ancora un po’ di vintage cinematografico. Le intuizioni utili sono quelle che richiedono fantasia e semplicismo. Una dote che possiede Veltroni.

La vita, i problemi, le difficoltà, sono del resto come un miscuglio di vicende, di fatti, di sogni, di successi e di delusioni. E’ sempre così! Le difficoltà provengono dalle illusioni mortificate, dai sogni non realizzati, dalle vite consumate nell’incomprensione.

E la soluzione per tutto non è forse solo un insieme di parole ben scelte e ben messe? Parole come tante altre che sono già state scritte? Le frasi si compongono tra sostantivi, verbi, aggettivi, preposizioni, articoli ed avverbi. Ed i fatti sono solo la riproduzione di una storia sempre uguale che si ripete monotonamente. Le soluzioni sono sempre là, perché sono le storie di sempre: quelle già note. Basta allora mischiare tutto insieme nello shaker della vita e mescere così nei bicchieri di ciascuno la pozione magica per far sorridere tutti. Si può fare Veltroni!

Peccato che Prodi non l’avesse capito! Invece Veltroni, il sindaco di Roma, con quelli che la sera…tra un abbacchio ed un bicchiere di vino, tra una matriciana ed una “americanata” decide d’inventarsi un cocktail di parole ed incomincia a mixerare essenze diverse: una tassa in meno di qua, un sogno infinito di là, un ritocco ai costi, un Pil che si gonfia ed un fegato che s’ingrossa, un favorino di qua, l’altro di là e una Tav che ancora non va.

Così si risolvono le cose! Ad esempio, per la spazzatura di Napoli un sacchetto per uno non farebbe male a nessuno. E’ così facile! Ma non l’aveva capito nessuno. E, perché no? Così, si può fare! Meno male allora che c’è Veltroni!

L’americano di Roma, con ascendente continente africano, deve averlo capito guardando i film degli yankees. Quelli dove con la mano protesa ed il pollice e l’indice uniti alle punte a forma di “O” e con l’idioma texano c’è ci dice: OK! Yes, we can. Basta un po’ di fantasia ed un po’ di mimica ed il film di Veltroni si che si può fare!

Un po’ di leghismo, un po’di finismo ed un po’ di berlusconismo, un’occhiata a Di Pietro, uno sguardo torvo a Boselli,  una strizzatina d’occhi a Bonino, di nascosto a Pannella, e poi tante gocce di quel condimento saporito fatto di parole inutili e senza senso come lo “sviluppo inclusivo”, il “welfare universalistico”, l”educazione come ascensore sociale”. Non è uno scherzo di Grillo! A pagina 5 del programma del PD di Veltroni c’è scritto proprio così! 

I programmi elettorali dei partiti sono come le sintesi delle idee politiche. Sembrano tutti come un  insieme di buoni propositi che presuppongono una condizione ideale ed animi virtuosi. In definitiva nient’altro che un cumulo di luoghi comuni e di sciocchezze che, si sa già in partenza,  rimarranno ancorate solo ai principi teorici. Sono costruiti su presupposti di realtà più idealizzate che vere. Hanno anche la caratteristica della inevitabile ciclicità delle attualità politiche. I concetti, pur spesso veri ed importanti, se perdono attualità, si riempiono della polvere dell’oblio, per poi essere rispolverati quando la nuova attualità li ripropone.

Nel programma del PD, con un po’ di capitomboli, c’è qualche concetto scopiazzato, uno spreco di banali sciocchezze, qualche richiamo in formato ridotto di qualche concetto recuperato nelle 282 pagine di Prodi. Non mancano, però,  gli intuiti veltroniani di grande genialità come, ad esempio, il più diretto, quello che fa presa subito perché splende di luce propria, quello immediato: “spendere meglio e meno”.

Basterebbe questa semplificazione per comprendere la grande tensione morale e l’ardua missione sociale del PD di Veltroni.  Appare così, con la forza di questo concetto forte, quello che lega il meno al meglio, la novità dell’uomo nuovo.

Come allora non avvertire il soffio di questo vento che arriva?

Veltroni è come Moretti, il regista, campione della sinistra suggestiva fatta di immagini e sensazioni, ma anche di una noia pazzesca. E’ come la discontinuità col passato. Perché si dica qualcosa di diverso. Perché la politica si riduca a questo dire continuo. Alla ricerca del pensare: perché si appaia collocati in una  geografia di un concetto. All’astrattezza del fare ed alla concretezza del dire, perché si sia protagonisti di un’immagine.

L’aspetto più preoccupante è l’impressione di leggere la sceneggiatura di una fiction: è il film di Veltroni. 

Non si sa se verrà mai programmato. Saranno gli italiani a scegliere se vorranno rivedere un film che, in definitiva, molti in Italia hanno già visto.

Vito Schepisi

 http://www.loccidentale.it/node/14000

Un laicismo capovolto

febbraio 25, 2008

ratzinger_sp.jpgSta avvenendo una strana cosa in Italia. Dopo tante vere battaglie laiche, battaglie liberali contro le confessioni sia teologiche che politiche, dopo esser stati spesso soli a confutare quel concentrato di idee radicate che nel tempo hanno formato l’illusione che ci siano formule magiche per offrire serenità ai bisogni della gente, appare oggi il laicismo di coloro che non abbiamo mai trovato sui valori dell’illuminismo liberale e della tolleranza.

Oggi c’è chi, ad esempio, sostiene d’essere laico, ma non tollera che si parli di alcuni argomenti di rilevanza etica. C’è chi si inserisce in una fascia culturale del pensiero libero, ma pone steccati alla sua effettiva libertà. Steccati che impongono la scelta tra coloro che hanno diritti ed altri solo doveri,  tra chi ha titolo e chi invece non ne ha, per definizione o per insostenibile pregiudizio o preclusione.

La laicità, in definitiva, che cos’è se non la  libertà di pensare in modo autonomo e fuori dagli steccati dell’ideologia e della certezza dei presupposti che di volta in volta, ed a seconda dei casi, sono ritenuti essenziali per essere “in” e non “out”?

Laico è chi mi consente di esprimermi anche se non condivide ciò che dico.

Da sostenitore della laicità, da vecchia data, quando gli altri erano solo o cattolici o marxisti, sono stato qualche mese fa a Parigi, nel Pantheon, a rendere omaggio a Voltaire, sostando in riflessione dinanzi alla sua tomba. Sono, infatti, tra coloro che ritengono che ci sia un diritto della natura che debba incoraggiare gli uomini ad esprimersi anche quando si hanno idee diverse.

Meditando ho pensato che, in Francia, Voltaire abbia trovato posto tra i grandi della patria. In Italia, invece, non sarebbe stato così. In Italia non c’è la coscienza della laicità: è il paese dei guelfi e ghibellini, dei Don Camillo e Peppone. L’Italia è il Paese delle delegittimazioni, è il paese dove si esalta il coefficiente del disprezzo di qualcuno e si mortifica il richiamo alla ragione ed alla moderazione. E’ il Paese dove c’è chi esalta un Di Pietro e mortifica  la dignità nel concedere uno spazio al riformismo socialista nella sinistra democratica.

Uno strano Paese l’Italia! Uno Stato dove anche la magistratura si schiera, anche quando giustamente pone all’attenzione la domanda di legalità che emerge in larghi strati della popolazione.

In Italia abbiamo assistito alla magistratura che discriminava tra uomini e gruppi in una realtà in cui la lotta politica, resa serrata da un lungo periodo di guerra fredda tra due modi differenti di concepire il ruolo dei popoli nel mondo, diventava una lotta tra gruppi arroccati su logiche di potere, distaccata dai problemi della gente, pigra e distratta dai benefici delle gestioni clientelari, elusiva nella salvaguardia dei principi di moralità e trasparenza.

La tutela della legalità che si trasforma così nel discrimine tra le forze politiche accomunate da metodi comuni, in cui la diversità è solo tra due diverse forme organizzative del sistema di malversazione, è come un cancro maligno che intacca la credibilità del sistema democratico.

Una magistratura che da arbitro tra i contendenti, e da severo censore del gioco scorretto, diventa il dodicesimo uomo che calcia il pallone nella porta della squadra avversaria, fomentando persino l’invasione di campo quando il responso elettorale stabilisce la vittoria della squadra contro cui si è schierata, si trasforma drammaticamente da garanzia di legalità a timore di gravi e pericolose involuzioni per l’intero Paese.

Ma è laica una magistratura siffatta?

Perché laico è un insieme di comportamenti che ti pongono ad essere distaccato dalle prese di posizioni definitive. La laicità è il contrario della certezza, è l’aspetto di un pensiero che insinua il dubbio ritenendo le verità aspetti del pensiero lontane dalla possibilità di essere percepite dall’uomo.

Lo Stato, invece, in un sistema democratico deve essere laico. Senza laicismo, e quando si ritiene d’essere già in possesso di inemendabili certezze, diventa confessionale e fondamentalista. Diventa un pericolo per la libertà. Diventa appunto l’antitesi della democrazia liberale.

Sta avvenendo così una strana metamorfosi in Italia. Si spaccia per laica una parte, quella intollerante, e invece per parte omologata ai principi assoluti, quindi privi di spirito laico, la parte che discute e si pone dubbi.  Sta avvenendo esattamente il contrario di ciò che dovrebbe essere. Passa per laico chi invoca privilegi per alcuni e per oscurantista chi, invece, ritiene che debbano esserci regole uguali per tutti.

Ora si vuol far passare per laico chi deve per forza condividere scelte, ad esempio, sulla famiglia, sebbene al di fuori della Costituzione, della cultura popolare e della tradizione, anche naturale, che distingue la natura delle unioni per definire l’esistenza di una famiglia. Si accusa, invece, di non esserlo (laico) altri che pongono dubbi e che non sono presi dalle granitiche certezze. Non sarebbero, così, laici coloro che vorrebbero meditare sia sul merito e sia sull’opportunità di modificare l’insieme delle regole e dei principi che sono alla base delle scelte e che implicano, tra l’altro, rilevanti effetti sui diritti civili.

Ora è laico chi non si pone questioni di coscienza su temi di alto profilo morale, come le nascite, mentre sempre oscurantista è chi invece vuole discutere e vorrebbe convincersi della bontà delle scelte. Diviene  persino reazionario e maschilista chi, invece è interessato a trovare soluzioni di umanità e di responsabilità sociale dinanzi al dramma che in molte situazioni è presente.

E’ laico impedire al Papa Benedetto XVI, ovvero al colto teologo Prof. Joseph Ratzinger, di diffondere una “lectio magistralis” alla Sapienza di Roma mentre non lo è percepire il divieto come un vulnus alla universalità della cultura?

Si avverte la sensazione che il negazionismo, da una parte, ed il retaggio della cultura marxista che impone l’indicazione di un “nemico” contro cui battersi, stiano creando  una sorta di laicismo capovolto in Italia.

Vito Schepisi