Archive for the ‘Giustizia’ Category

Scalfaro arroccato con enfasi sui principi astratti

febbraio 13, 2009

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Tutti si rivolgono contro tutti con “rispetto” e “pacatezza”. Prima Veltroni, poi Di Pietro ed ora Scalfaro: “Ci rivolgiamo al Presidente del Consiglio con rispetto e con pacatezza: non ci faccia vivere giornate con timori che riguardano la nostra Patria, la sua libertà e la sua democrazia”.

Da che pulpito!

All’esimio ex Presidente della Repubblica, giudicato da molti il peggiore della Storia d’Italia, democristiano di lungo corso sin dalla Costituente, storicamente considerato come uomo della destra DC, chiediamo anche noi con “rispetto” e “pacatezza” conto di quei cento milioni mensili che da Ministro dell’Interno del Governo Craxi percepiva dal SISDE, i servizi segreti italiani dell’epoca. Chiediamo al senatore Oscar Luigi Scalfaro, sempre con il dovuto “rispetto” e con la dovuta “pacatezza”, di dar conto e documentazione del suo utilizzo e se possibile di spiegarci a che titolo li ha percepiti.

Per essere credibili, quando si richiamano altri ai grandi sentimenti patriottici e si sollecita la difesa della libertà e della democrazia, richiamando i principi costitutivi che rappresentano l’unità nazionale ed il rispetto dei ruoli istituzionali, è necessario esser stati sempre virtuosi. E’ più difficile farlo quando si sono lasciate zone d’ombra dove il sospetto inevitabilmente si annida. E’ stato proprio un politico, sodale con la manifestazione in Piazza SS Apostoli a Roma, che ha teorizzato in passato che il sospetto sia l’anticamera della colpa.

E’ apparsa solo una manifestazione pretestuosa quella che ha visto uno sparuto gruppo del Partito Democratico manifestare contro il presunto attacco di Berlusconi alla Costituzione, ed è stata sgradevole la presenza di chi non avrebbe niente da insegnare a nessuno.

Pretestuosa perché, invece di dar conto di proposte o di motivato dissenso alla linea delle riforme della maggioranza – riforme richieste un anno fa dallo stesso Veltroni, quando le contrapponeva alle elezioni anticipate, ritenendole allora persino indispensabili per poter offrire al Paese stabilità e governabilità – si è preferito solo dar conto di un chiassoso dissenso con la linea del Governo sulla recente questione del decreto che avrebbe consentito di salvare la vita di Eluana Englaro.

Appare così in tutta la sua impropria ed intrecciata doppiezza la retorica del cattolico Scalfaro contro un Governo ed un Presidente del Consiglio che intendeva salvare una vita e che a tal fine teneva a sottolineare che nessuna interpretazione della Carta Costituzionale potesse aver maggior valore della vita di un essere umano.

Per le riforme, anche della seconda parte della Costituzione, c’è una bozza Violante della scorsa legislatura che ha trovato ampi consensi nella nuova maggioranza e che può essere un punto di partenza importante per metter mano alla  modifica di quei punti che necessitano di aggiornamenti.

Dalla manifestazione del PD, invece, nessun segnale di dialogo e di confronto. Nessuna proposta concreta. La difesa dei principi di libertà e di democrazia si attua invece con le riforme. Queste sono gli strumenti che favoriscono lo sviluppo della società, la governabilità e la tempestività degli interventi di chi, in virtù del consenso elettorale, ha responsabilità di governo. Lo spirito  riformatore dovrebbe spingere a rivedere la Giustizia per rispettare i diritti di tutti e per garantire il suo esercizio effettivo e puntuale. Quello di Scalfaro e Veltroni è sembrato, invece, uno schieramento conservatore arroccato con enfasi sui principi astratti.

Non si è ascoltata alcuna riflessione che abbia preso atto che la velocità delle comunicazioni e dei flussi delle economie mondiali, in tempi di globalizzazione, impongono al sistema delle decisioni  tempi di assoluta brevità. E’ sembrata piuttosto la solita kermesse di coloro che alzano la voce perché non hanno nulla di serio da dire. È mancata persino la presa d’atto che la Costituzione sia sorta in un momento difficile per il Paese e che ha una struttura adeguata a quel momento caratterizzato da forti tensioni.

Sarà per questa incapacità di avere buon senso e per la mancanza di presa del PD, di Scalfaro e della opposizione tutta, come difensori dei valori di libertà e di democrazia che a Piazza SS Apostoli è stata stimata una presenza inferiore a mille persone.

Vito Schepisi

Di Pietro è un uomo contro il Paese

gennaio 29, 2009

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Questa volta il forcaiolo d’Italia ha valicato una punta ancora più alta del suo reiterato delirio. Nell’attacco di Antonio Di Pietro e dei suoi amici alle istituzioni è coinvolta la funzione del Parlamento, la legittimità del Governo e l’onorabilità del Presidente della Repubblica. Si avverte un’offesa al Paese, alla maggioranza dei suoi cittadini, alla democrazia ed alla dignità del confronto politico. Si ha l’impressione che l’alzo del tiro sia conseguenza del basso livello di popolarità che Di Pietro e l’intero movimento dell’antipolitica stia registrando e che si usino, ancora una volta, le espressioni più colorite ed irriguardose verso le istituzioni per riscaldare le piazze, come usano fare i dittatori che hanno bisogno d’inventarsi un nemico per soddisfare la rabbia del popolo.

E’in atto con Di Pietro, col suo partito e con la compagnia dell’antipolitica, una vera deriva sfascista dell’opposizione politica. Una deriva a cui presta il fianco Veltroni ed il Partito Democratico, incapaci di scrollarsi di dosso la stretta mortale dell’ex magistrato. C’è la percezione di un attacco forsennato, irrazionale, viscerale e violento alla democrazia, alla libertà, alla serietà, alla governabilità del Paese, oltre che alla legittimità istituzionale dei suoi rappresentanti.

Il giorno dopo della Giornata della Memoria, per meditare sull’Olocausto, il metodo Di Pietro, fatto d’odio e di condanne sommarie e pregiudiziali, induce ancor più a riflettere.

La ferocia e le espressioni più atroci dell’animo umano covano sempre nell’intolleranza e nell’ignoranza di quegli uomini che adottano le teorie giustizialiste e fondamentaliste per esercitare le proprie vendette, per appagare le proprie frustrazioni o ancor più semplicemente per arricchire il bottino delle invasioni nei luoghi della discussione e della rituale dialettica politica, saccheggiando le coscienze ed inficiando le conquiste di spazi di civiltà e di democrazia.

Nessuna attenuante, nessuna giustificazione politica, può essere concessa a chi non ha mai proposte da avanzare ma solo dosi di veleno da somministrare al Paese.

Quello del percorso disfattista e reazionario è un indirizzo che accomuna tutti gli uomini impulsivi ed autoritari e tutti i demagoghi, anche se nel caso in questione si tratta solo di un furbo ex magistrato che non ha ancora spiegato al Paese i veri motivi del suo abbandono della magistratura per abbracciare, sull’onda della notorietà per le sue prestazioni eterodosse nelle istruttorie processuali, la carriera politica.

Gli spunti vengono dai provvedimenti di questo Governo in tema di Giustizia, dalla legge nota come “Lodo Alfano” mirante ad impedire che le quattro più alte cariche dello Stato, nel corso del mandato, possano essere sottoposte a processo penale, dalle iniziative per le limitazioni alle intercettazioni telefoniche e, ancor più a valle, dalla riforma dell’Ordinamento Giudiziario.

C’è una crisi della giustizia che è tangibile e che è avvertita dai cittadini e dalle istituzioni. La Corte di Giustizia Europea sottopone a più riprese l’Italia a formale condanna con le conseguenti sanzioni per i casi di giustizia negata, per i casi di giustizia deviata e per i casi di giustizia male erogata. Prendere atto della necessità di cambiare le cose e prendere l’iniziativa di modificare l’ordinamento giudiziario diventa indifferibile ed urgente, mentre, al contrario, ostacolare e difendere nel complesso l’esistente diventa colpevole ed omertoso.

C’è inoltre la necessità di rasserenare il confronto politico e sociale nel Paese, e non solo per poter tranquillamente analizzare e risolvere le questioni della giustizia, ma anche perché c’è una crisi difficile da cui è possibile poter uscire senza grossi traumi, ma con il sostegno, l’aiuto e, laddove possibile, con la fiducia di tutti, ad iniziare dalle forze politiche e dalle rappresentanze sociali.

I tentativi reiterati di Di Pietro di avvelenare i pozzi del confronto, per raggiungere fini politici di parte, devono preoccupare. Si constata l’incapacità dell’opposizione di isolare la deriva illiberale e frenante del leader dell’Idv, mentre occorrerebbe che si faccia interprete della necessità delle riforme. La questione morale passa anche attraverso la capacità di rinnovare le funzioni dello Stato, di responsabilizzare la politica, di riformare la giustizia e di fornire sistemi elettorali che, assieme alle possibilità di scelta degli elettori, assicurino la governabilità.

L’Italia non ha bisogno di odio e di giustizialismo, ma di giustizia e di riforme.

Vito Schepisi

Di Pietro risponda almeno alla prima e fondamentale domanda!

gennaio 19, 2009

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Sin dall’inchiesta sugli appalti di Napoli, la stampa nazionale scrive degli intrecci compromettenti tra gli affari, gli appalti, i favori e personaggi legati a Di Pietro ed al suo movimento politico.

La magistratura fa il suo lavoro e ci auguriamo che la giustizia svolga serenamente il suo corso, soprattutto per fare chiarezza sulle circostanze e sui riscontri che ci sono sembrati inquietanti.

In questo caso, però, si ha la sensazione che la giustizia si muova con metodi ed atti differenti dai casi simili. Non riusciamo, infatti, a dimenticare, sempre in Campania, l’arresto della signora Mastella, allora moglie del ministro della Giustizia, sulla base di intercettazioni telefoniche in cui ci sembrava che di preoccupante ci fosse molto meno. Ma sarà solo una nostra impressione!

Nelle telefonate di Cristiano Di Pietro con il Provveditore alle Opere Pubbliche di Molise e Campania, Mautone, ad esempio, emergono segnalazioni, e metodi di gestione dei favori, molto particolari, tipici di un rapporto di reciproca opportunità, come la consegna, ad esempio, allo stesso Di Pietro Jr. della lettera di incarico per un raccomandato. E’ un metodo clientelare, quest’ultimo, molto coinvolgente e certamente privo di assoluto valore morale. E pensare che il papà Antonio aveva dato del “magnaccia” a Berlusconi per la segnalazione per un provino ad alcune attricette!

Non ci interessa, però, Cristiano Di Pietro, non ci sembra un personaggio politicamente importante, ci interessa, invece, lo stile ed il modo di far politica di suo padre. Ci interessano i valori a cui si richiama, e la cruda durezza dei suoi attacchi sia ai partiti che alla legittimità dei suoi avversari, in particolare di quelli che hanno il consenso della maggioranza degli italiani.

In Italia dalle ultime elezioni si attende ancora di capire se per l’Idv la maggioranza sia legittimata a governare in nome del popolo; se sia giusto che l’opposizione si faccia in Parlamento, con gli strumenti della democrazia e della Costituzione, e se l’opposizione, compreso Di Pietro e la sua associazione familiare, l’Idv, abbia tra i valori anche quello del confronto.

Sarebbe poi un grande successo democratico se i gruppi di minoranza in Parlamento, compresa l’Idv di Di Pietro, riuscissero a formulare proposte politiche alternative che non si limitino a denigrare, anche con meschinità, i ministri, ma a fronteggiare un programma di governo attraverso proposte alternative ritenute più proficue per il Paese.

Non c’interessa, si diceva, Di Pietro Jr, anche se c’è difficoltà a capire perché debba fare politica, avendo fondati dubbi che, se non fosse stato figlio dell’ex PM di Mani Pulite, avrebbe scelto ugualmente di percorrere anche questa carriera, per la quale constatiamo che non sia affatto portato.

Di Pietro padre sta subendo un attacco serrato da alcuni quotidiani e riviste. Ci dispiace che ciò avvenga, perché siamo contrari alla gogna mediatica. Ci sono, però, dei dubbi che vanno chiariti. Su alcune questioni c’è una nebbia che va diradata. Nessuno è perfetto ed il personaggio è più da “grande fratello” che da protagonista politico: sarà questa la ragione della grande curiosità!

Il Giornale ad esempio, gli chiede da settimane di dar conto di alcune vicende, ma le sue risposte, quando non sono offese e minacce, non sono chiarificatrici e sembrano, invece, piuttosto evasive. Tra le domande su tante questioni immobiliari, finanziarie, societarie, giudiziarie e fatti per cui ci auguriamo che la giustizia faccia al più presto chiarezza, ce n’è una che da tempo è rimasta senza un’esplicita e definitiva risposta. Si vorrebbe da più parti conoscere i motivi della sua “fuga” dalla magistratura, avvenuta quando il magistrato Di Pietro era al massimo della popolarità.

L’ex PM aveva invocato la creazione di una “Mani Pulite” mondiale, anche se aveva l’aspetto di una deriva giustizialista della politica, come accade per i regimi fondamentalisti, che sembrava emergere da uno dei suoi tanti deliri di onnipotenza. 

Un magistrato che ha la pretesa di ricondurre alla eticità delle scelte la politica, sia a livello nazionale che mondiale, e che fa del suo impegno sulla giustizia una missione per la moralizzazione della vita pubblica, non lascia la magistratura, per poi, dopo qualche manfrina, mettersi in politica e farsi eleggere al Mugello, in un collegio blindato post comunista, da quel partito che lui aveva evitato di indagare da magistrato, desistendo dinanzi alle sole dichiarazioni di diversità che poi si sono mostrate infondate.

Allora Di Pietro ci dica con chiarezza, a parole sue, perché ha lasciato la magistratura?

Vito Schepisi

Un’autostrada aperta al dialogo

gennaio 3, 2009

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La questione morale ha aperto un’autostrada al confronto tra maggioranza ed opposizione: sarebbe solo sufficiente saperne imboccare la rampa di accesso.

Veltroni non ha più scusanti: deve rendersi conto che nessuna affermazione di diversità è oramai più credibile. Al contrario la questione morale investe proprio il PD, e si è moltiplicata persino per due, con gli ex comunisti e gli ex democristiani, per la somma delle storie personali degli archetipi del professionismo politico e  per la somma delle rispettive ramificazioni di partito nel mondo della finanza e degli interessi economici.

Ciò che emerge oggi, completa il quadro che già era stato tracciato con le telefonate tra Consorte, Fassino, D’Alema e Latorre. Si consolidano quelle convinzioni che, nonostante le difficoltà create dal Csm alla d.ssa Forleo, hanno fatto pensare alla presenza di un intreccio imbarazzante tra affari, finanza, cooperative, DS e politica.

Gli episodi emersi nella gestione pubblica e gli intrecci di affari sono come fari accesi sui metodi e sulle pratiche di dubbia moralità che non è affatto possibile continuare ad ignorare. Ciò che emerge, fatte salve le verità giuridiche che saranno accertate e che andranno a sanzionare le eventuali responsabilità personali, non potrà dissolvere affatto la sensazione della facilità con cui, nelle pieghe delle procedure dell’attuale gestione amministrativa degli enti locali, vanno a formarsi inquietanti comitati di affari.

Servono le riforme. Chi le ostacola si rende complice del malaffare.

Il pericolo esiste a destra ed a sinistra ed anche, come si è visto, tra coloro che fanno della questione morale l’unico impegno politico. Non ammetterlo è già una colpa. E’una responsabilità troppo grossa che la politica non può assumersi senza doversene far carico.

Non c’era e non c’è nessuna diversità che attenga alle finalità del pensiero politico. Appare soprattutto evidente che non sia affatto una questione di scelte di governo o di diversa tensione politica sulle questioni sociali. L’etica dei comportamenti è una questione individuale che investe la coscienza delle persone, a volte deboli dinanzi all’opportunità di acquisire un vantaggio personale che spesso coincide con l’interesse politico-elettorale.

Non sono valse le leggi sul finanziamento pubblico, e neanche i tanti benefici economici del personale della politica. Dovevano servire a sopperire agli alti costi della funzione di rappresentanza popolare, ma vengono, invece, sempre più avvertiti come intollerabili privilegi. Nel mezzogiorno d’Italia, in particolare, le pratiche clientelari e la ricerca di visibilità politica, attraverso la creazione di reti di interessi economici e di riferimenti personali, non si è mai fermata.

La visibilità politica della periferia finora non s’incrociava con quella della magistratura: dal nord al sud, la giustizia sembrava interessata unicamente a dar la caccia a Berlusconi.

A Napoli, ad esempio, mentre la spazzatura sommergeva la città e drenava allo Stato una decina di miliardi di euro per un’emergenza che durava da oltre 10 anni, un’innocua intercettazione telefonica in cui il premier sollecitava un provino di un paio d’attricette ha motivato l’attenzione moralizzatrice della Procura.

Il Lodo Alfano sembra che abbia così tolto il giocattolo dalle mani della magistratura “berlusconocentrica”, e che abbia portato i PM ad interessarsi anche della gestione degli affari in quella periferia troppo spesso ignorata.

Mentre Burlone e Burletta, sostenuti dal seguito di satiri e guitti, per le presunte angherie alla legalità del solito Berlusconi, erano ancora intenti ad intonare i cori di dolore, come quelli dei riti della sofferenza pre-pasquale, la voce, ai cantori, gli si è fermata in gola.

La questione morale, però, può far aprire un’autostrada per il confronto tra maggioranza ed opposizione. Mancare a questo appuntamento su temi come la riforma istituzionale, quella della pubblica amministrazione, ovvero quella della giustizia, sarebbe un grave errore politico per il PD: è il Popolo Italiano con l’autorevolezza del Presidente Napolitano che lo richiede.

Veltroni può approfittare delle difficoltà di Di Pietro, proprio sulla questione morale, per smarcarsi dalla sua guardia soffocante, senza il timore di dover subire la deriva giustizialista del suo infedele alleato che, sulla questione, come si è visto, non ha proprio niente da insegnare a nessuno. 

Vito Schepisi 

Pensavano che fosse un valore, invece era un nuovo calesse

dicembre 30, 2008

dipietrocristiano-lascia-idvE’ strano, ma proprio chi si richiama ai valori e che fa della correttezza nei comportamenti degli eletti la ragione principale, e forse unica, della propria identità politica, assume oggi i tratti del più contorto politichese ed agisce da struzzo, come tanti, come sempre, come tutti.

Il poliziotto Di Pietro Cristiano, eletto al Comune di Montenero di Bisaccia ed alla Provincia di Campobasso per l’Idv, poliziotto in aspettativa per motivi politici,  si è dimesso dal partito dove comanda solo ed indisturbato il padre, anche se…“poi, quando tutto sarà chiarito, ne riparleremo”.

Ed il padre è quell’Antonio Di Pietro, ex PM, dimessosi dalla magistratura per ragioni che sono ancora ignote, che dichiara che il gesto del figlio è stato “un gesto corretto e per certi versi forse eccessivo”.

Sembra un’opera pirandelliana, un classico tocco da commedia degli equivoci.

Signor Di Pietro Jr, ma delle sue dimissioni dal partito di suo padre non ce ne pò fregà de meno!

Lei, per coerenza con quanto sostiene il suo papà, dovrebbe dimettersi dai consigli in cui è stato eletto e dovrebbe ritornare a lavorare come fanno i suoi colleghi poliziotti, e milioni di italiani che non hanno un partito tagliato su misura dal proprio genitore, approfittando dell’onda della notorietà di una stagione giudiziaria densa di ombre e con seri e diffusi dubbi sull’imparzialità giudiziaria, e con forti sospetti di strumentalizzazione politica.

Suo padre, distintosi come fustigatore dei cattivi costumi degli altri, ma restio a dare spiegazioni agli italiani sulle tante ombre della sua carriera di studente, poliziotto, magistrato, politico e leader di partito, è quel signore che, ministro di Prodi, è apparso così raffinato nel definire “magnaccia” il leader dell’opposizione Berlusconi, quando questi aveva chiesto al Direttore di Rai Fiction Agostino Saccà di far fare un provino ad un paio di attricette.

Figuriamoci cosa avrebbe detto di lei, se non fosse stato suo padre e se aderente ad un altro partito!

Si è mai chiesto come si entra a lavorare in Rai? Avrà però certamente chiesto invece a suo padre come si diventa famosi in Italia, dove più che la giustizia valgono le caste ed il “politicamente corretto”! Ci pensi, appuntato Cristiano chieda, nel caso, e ci faccia sapere!

Nel frattempo ci spieghi quanto possa interessare, invece, al Paese il fatto che lei debba passare dai gruppi dell’Idv al gruppo misto, nelle amministrazioni locali dove è presente?

E dato che siamo nel campo delle spiegazioni, ci confermi pure che l’incarico di capogruppo dell’Idv alla Provincia di Campobasso le sia stato affidato per i suoi meriti e per le sue capacità, più che per essere il rampollo di cotanto genitore.

Ci sono molti italiani che ritengono che sarebbe stato più corretto se lei si fosse dimesso da entrambi i consessi elettivi, dove ha raccolto i voti di coloro che hanno ritenuto, seguendo il giustizialismo dell’ex magistrato Di Pietro, di poter moralizzare la vita politica.

Lei, pertanto, non doveva affatto dimettersi dal partito, dove mi sembra sia ben inquadrato, ma dai consigli degli enti in cui è stato eletto. Gliel’ha suggerito suo padre di dimettersi solo dal partito?

Ma se suo padre era interessato a questa nuova sceneggiata, ai danni dell’intelligenza degli italiani, doveva avere il coraggio di espellerla.

Lei, se ci pensa bene, è stato sorpreso a praticare le stesse trame affaristiche che l’Antonio Di Pietro, col suo partito forcaiolo, contesta ogni giorno agli altri protagonisti della politica del Paese.

Che sagoma quel suo papà!

A che vale, invece, come lei ha fatto, dimettersi dal partito, con riserva di rientrarci dopo l’esito (mi auguro positivo per lei) dell’inchiesta sugli appalti di Napoli?

Anche senza rilevanza penale, come afferma suo padre, lei ha mostrato un profilo simile a tutti gli altri, al contrario di ciò che suo padre dice che debba essere per un militante dell’Idv.

L’ha fatto per non rinunciare al vantaggio del suo ruolo di amministratore ed a quello dell’aspettativa per motivi politici dal lavoro certamente più duro di poliziotto?

Ho sentito spesso parlare dell’Idv come del partito di opposizione più fermo contro il malcostume. Ho sempre avuto qualche dubbio che fosse veramente così: ora ho la certezza dell’esatto contrario.

Tutti pensavano che fosse un valore, ma era soltanto un nuovo calesse.

Vito Schepisi

In Politica per qualcosa da dire e non per qualcosa da chiedere

dicembre 29, 2008

ANTONIO DI PIETRO

C’è gente che lo vorrebbe vedere ammanettato ed in galera, come i tanti imputati passati dai suoi duri e sbrigativi metodi inquisitori, quando era PM a Milano.

C’è chi vorrebbe indurre Di Pietro a dover meditare sulla serenità persa da molti personaggi risultati innocenti, e chi indurlo, invece, a soffermarsi sulle vite spezzate di quegli imputati che per i suoi metodi si sono tolti la vita. Altri vorrebbero che per la nemesi storica si trovasse per lui, e per il suo simbiotico figlio, l’uguale rigore del giustizialismo forcaiolo e della cultura del sospetto che ha tolto il sorriso a tante persone, compromettendone irrimediabilmente l’immagine.

Noi invece vorremmo solo conoscere la verità.

Vorremmo che non ci fossero né privilegi e né accanimenti nei suoi confronti, e neanche nei confronti delle persone a lui vicine. Vorremmo che la legge fosse uguale per tutti e che fosse rispettata anche da coloro che godono dei favori di alcune procure.

Auspichiamo una magistratura responsabile e garantista, al servizio esclusivo del diritto e della legge, senza occhi di riguardo e senza accanimento per nessuno.

Un compagno di partito di Di Pietro, Leoluca Orlando (lo stesso respinto dalla maggioranza parlamentare per una commissione di garanzia come quella della Vigilanza Rai), ha sostenuto in passato che il sospetto sia l’anticamera della verità.

Ed ora i sospetti di tanti cittadini italiani sono sui motivi, sulle situazioni, sulle storie e sui rapporti che un uomo pubblico, leader di un partito, dovrebbe chiarire.

Gli italiani vorrebbero che fossero resi noti da Di Pietro, tra gli altri:

– i motivi del suo abbandono della magistratura;

– le situazioni di favore ottenute quando era PM a Milano;

– le diverse storie connesse ai contrasti coi suoi compagni di strada politica, collegate, stranamente per un partito che si richiama ai valori, alla divisione del finanziamento pubblico;

– i rapporti mantenuti dall’ex PM, dal suo figliuolo e da eventuali altri esponenti dell’Idv, con personaggi risultati inquisiti ed arrestati nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Napoli sugli appalti.

C’è, inoltre, un’ipotesi degli investigatori della Dia di Napoli che riguarda un reato grave. Lo stesso reato per cui, con sentenza di primo grado, un anno fa, è stato condannato a 5 anni di carcere Totò Cuffaro, Presidente della Regione Sicilia, giudicato colpevole di favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio: il reato d’informare una persona indagata d’avere il telefono sotto controllo.

Nel caso di Di Pietro, la Dia di Napoli ha sostenuto la tesi di una fuga di notizie, sulle indagini relative agli appalti del capoluogo campano, trapelate molto tempo prima (sei mesi) che arrivassero alla stampa.

Chi è stato informato? E da chi?

L’ex PM ha riferito ai giornali di aver trasferito il provveditore alle opere pubbliche della Campania e del Molise, Mario Mautone, perché era venuto a conoscenza di indagini a suo carico.

Di Pietro dica allora agli italiani chi l’ha informato delle indagini e perché suo figlio da qual momento non ha più risposto alle telefonate dell’ex provveditore Mautone?

Suo figlio sapeva che le utenze telefoniche erano sotto controllo?

E da chi l’ha saputo?

Un magistrato lo chiederebbe a chiunque e vorremmo che lo chiedesse anche a Di Pietro e suo figlio!

Di Pietro che pone la questione morale come presupposto per lo svolgimento dell’attività politica, non può rifiutarsi di fare chiarezza. Non può lasciare nel dubbio tutti i quesiti che in questi giorni vengono posti. Non può non sentire il dovere di chiarire le sue eventuali responsabilità e quelle del suo figliolo, anche a costo di dover rinunciare a far politica, come chiederebbe di fare ad altri.

Non è poi necessario che la famiglia Di Pietro faccia politica, soprattutto se gli esiti sono quelli che sembrano: nessun progetto politico, nessuna attività riformista e nessun buon esempio.

Di Pietro faccia allora ciò che dice che gli altri debbano fare nelle sue condizioni: si dimetta!

Faccia dimettere dagli incarichi anche il suo figliolo che, a quanto pare, sembra sia sintatticamente persino meno dotato di lui, pur essendo abbastanza propenso a ricercare favori ed a fruirne.

La storia del nepotismo e dei figli trainati dai padri per godere dei privilegi di casta sembrava una pratica abbandonata, un antipatico retaggio di immoralità nei comportamenti della politica.

E’ una pratica che purtroppo scoraggia chi ha qualcosa da dire, e non chi ha qualcosa da chiedere.

Vito Schepisi

Avviso di garanzia al PD

dicembre 22, 2008

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Che abbia ragione Andreotti!

A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”.

E’ da qualche settimana che c’è un pensiero che circola, anche se non chiaramente espresso.

E’ come la sensazione di un avviso di garanzia virtuale che la magistratura avesse inviato al PD.

Il complottismo in Italia è uno sport ben praticato, al pari della dietrologia più fantasiosa, ma questa volta c’è l’impressione di qualcosa di più rispetto alle solite trame immaginarie. C’è qualcosa che si materializza più facilmente rispetto a quel solito evocare il grande vecchio, quando l’illusionista politico di turno voglia aumentare la tensione e fomentare le piazze, alludendo a manovratori e possibili pericoli di derive autoritarie.

Per capirci non è la dietrologia pecoreccia come la P2 evocata da Di Pietro o le trame fasciste, razziste o autoritarie attribuite a Berlusconi.

Non è roba da populisti e demagoghi che, privi di argomenti validi per farsi capire ed accettare dal popolo, ricorrono alle suggestioni.

Questa volta c’è la concretezza di episodi reali, e tutti convergenti verso un preciso obiettivo. Anche gli attori giocano un ruolo troppo coerente con il fine da perseguire da potersi pensare che sia una semplice coincidenza.

Si ha la sensazione che ogni qualvolta ci sia in Italia la possibile convergenza sulla riforma della giustizia accade sempre qualcosa che faccia venir meno il possibile accordo.

Il Senatore Cossiga per ogni governo che si forma presta particolare attenzione al ministro della giustizia. Per l’ultimo, Angelino Alfano, al momento della sua nomina ha detto: “attento che arrestano tua moglie”. Ha tenuto a ricordargli di prestare molta attenzione per se e per la sua famiglia. L’ha informato che in Italia chi fa il ministro della giustizia è in serio pericolo giudiziario L’ex Presidente della Repubblica è uomo che parla per iperboli ma, da profondo conoscitore degli uomini e dei sistemi della politica, dei servizi e degli ordinamenti dello Stato, mostra sempre di sapere molto bene ciò che dice.

In Italia c’è una vera emergenza giustizia.

Con la bufera giudiziaria cascata sul PD, sembra che sia stato inviato un virtuale avviso di garanzia a Veltroni e compagni per diffidarli dal consentire il varo della riforma del sistema giudiziario, per diffidarli dal voler consentire di sottrarre alla magistratura il potere di stabilire la legittimità della politica.

La casta, come ogni corporazione che esercita un potere reale, attiva la sua autodifesa e lo fa coi mezzi di cui è più pratica: un avviso di garanzia.

C’è nella magistratura la preoccupazione che la politica, col consenso democratico e nell’esercizio del potere legislativo, possa con la riforma stabilire, com’è normale per tutto ciò che è esercitato in nome e per conto del popolo, l’imparzialità e la legittimità anche degli atti giudiziari.

La giustizia in Italia è rimasta quella corporativa ed autoreferente del regime fascista. L’avvento della democrazia non trascina per automatismo la trasformazione di uno strumento di regime in giustizia. Se col fascismo la parvenza dell’autonomia serviva al potere come paravento di giustizia, mentre imponeva un pensiero unico e possedeva l’autorità per rimuovere tutto ciò che si poneva in contrasto, con la democrazia i paraventi non servono e non esiste la facoltà di rimuovere ciò che l’esecutivo non gradisce.

Ma un potere senza controllo esercita anche atti senza controllo.

Se dev’essere considerata giusta l’autonomia della magistratura dal potere politico, per il rispetto delle regole della democrazia non si può ritenere invece legittimo il controllo della magistratura sulla politica, con intereventi che stabiliscono, com’è accaduto, persino il consenso o meno alla formulazione e promulgazione delle leggi in Parlamento.

Ci sono delle regole da osservare per poter dire che gli ordinamenti dello Stato siano conformi alla volontà del popolo. In caso contrario non si può parlare di democrazia ma, appunto, con l’azione prevalente della magistratura, di stato etico, alla stregua di quelli fondamentalisti di tipo islamico.

Sono anni che, con il sostegno della sinistra, la riforma viene osteggiata dai magistrati: sembra che tangentopoli abbia motivato un compromesso giustizialista tra la magistratura e la stessa sinistra.

Quello delle procure, pertanto, appare come un avviso di garanzia al PD per informare che ciò che non è stato fatto in passato, potrà esser fatto in futuro, e che sia sufficiente un Di Pietro per prendere le redini del fondamentalismo giudiziario, con il suo partito dei giudici che arraffa  i voti in libera uscita dal PD.

 

Vito Schepisi

Sciacalli e diversità antropologica

dicembre 18, 2008

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I venti giudiziari, come da tempo annunciato, hanno ripreso a soffiare e la questione morale è tornata prepotentemente ad affacciarsi sulla scena politica nazionale.

La corrente del Golfo è arrivata e con l’aria che tira scoperchia i cassonetti, e non solo quelli dei rifiuti inermi. L’acqua che non è venuta giù – si sostiene in un detto popolare – sta ancora tra le nuvole, in cielo. Ed è così perchè, fuori dalla metafora, nessuno possa vantare di esserne rimasto fuori solo perché la sua responsabilità è stata tenuta nascosta. Ciò che si è tenuto nascosto non poteva, infatti, impedire che la malversazione politica, radicata nel sistema, prima o poi finisse invece per emergere.

A chi può oggi sfuggire il ricordo del richiamo di Bettino Craxi in Parlamento, il 29 aprile del 1993, quando chiese se ci fosse qualcuno in quell’Aula estraneo al sistema del finanziamento illecito alla politica? “Basta con l’ipocrisia!” – disse tra l’altro il leader del PSI  nel sostenere che tutti i partiti ricorrevano alle tangenti per finanziare l’attività politica, anche quelli “che qui dentro fanno i moralisti”. Nessuna voce si alzò quel giorno nell’Aula della Camera per profferire l’estraneità o la sorpresa per essere rimasto all’oscuro del sistema delle tangenti.

Questa volta, però, la pioggia che era nel cielo, tra le nuvole, ha riempito di acqua sporca di fango gli invasi dei territori del Partito Democratico, tra cui gli eredi diretti di quel partito della sinistra, il Pds di Occhetto, trasformatosi fino al PD di Veltroni, che aveva cavalcato tangentopoli e che ne aveva incassato i vantaggi per essersi ritrovato dopo il fallimento del comunismo, invece di scomparire assieme all’ignominia del sostegno ad una ideologia. ed alla sua azione nel mondo che per ferocia si era rivelata paragonabile al nazismo, a competere, invece, per il governo del Paese.

E quanto dirompente e inimmaginabile sarebbero state le manifestazioni di indignazione e le vesti stracciate dinanzi ai simulacri della democrazia e della pubblica moralità se nelle acque fangose e tra i rifiuti attivi si fossero ritrovati i sostenitori di Berlusconi invece che di Veltroni?

Per essere però sciacalli ci vuole, questa volta si, una diversità antropologica!

Il moralismo sentenzioso e la cultura della diversità etica ripetutamente sostenuta, nella circostanza hanno invece lasciato spazio a dichiarazioni inerenti le difficoltà organizzative nell’insediamento di una classe  dirigente da rinnovare ed alle difficoltà nel gestire il ricambio con le nuove generazioni.

Tutte chiacchiere di circostanza che poi finiscono solo per confermare la regola che ci fa ritenere che in Italia ci sia qualcosa che non funziona nella trasparenza e nei controlli dei centri delle decisioni a tutti i livelli, dalle realtà periferiche a quelle centrali.

La verità strutturale è che nel PD, molto più che nel Pdl, la politica come professione sia più radicata e difficile da gestire. C’è una casta che si mette di traverso e rende impossibile il ricambio.

La verità politica è che l’Italia è gravata da una burocrazia elefantiaca che occulta e disperde il diritto e che consente al sotterfugio ed all’illegalità di annidarsi.

Non esiste invece la diversità.

Sarebbe ridicolo solo pensarlo: se ci fosse sarebbe preoccupante e bisognerebbe impegnarsi per la ricerca di una vera ragione antropologica. Non è un’idea di società, piuttosto che un’altra, che facilita l’uso improprio ed illegittimo di un potere acquisito attraverso un incarico elettivo. E non esiste neanche il problema del sistema di aggiornamento, controllo e gestione della forma partito, perché spesso è più l’occasione che fa l’uomo ladro.

Il rimedio sarebbe solo quello di intervenire nel ridurre al minimo le occasioni. Intervenire, ad esempio, attraverso un programma rivoluzionario di riforme. Servono interventi nella pubblica amministrazione per lo snellimento dell’apparato burocratico, servono una serie di riforme tra cui quelle sul federalismo fiscale e sulla modifica di alcune norme inserite nella seconda parte della Costituzione per ridisegnare l’Ordinamento della Repubblica, anche alla luce dei tanti conflitti tra i poteri esercitati dagli ordinamenti dello Stato.

Un Paese è come un grande edificio che ha bisogno periodicamente di restauri e lavori di consolidamento. Per l’edificio Italia c’è una lobby conservatrice a sinistra che blocca tutto e non consente restauri e lavori di consolidamento, se non l’opera di imbianchini di turno che passano la vernice solo per nascondere le crepe, le infiltrazioni e lo sporco, lasciando sempre tutto com’è.

Vito Schepisi    su l’Occidentale

La questione morale a sinistra

dicembre 8, 2008
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Non c’è voglia di giustizialismo quando si parla della presenza di una questione morale. Non c’è voglia di sostenere pagliuzze o travi che siano negli occhi dei personaggi della politica. Queste cose le sostengano Franceschini o la Finocchiaro, affetti da smania di giustificazionismo e presuntuosi possessori del giusto metro per il giudizio sugli altri. Si vorrebbe invece una seria riforma della giustizia che riporti fiducia nell’azione della magistratura e che la sottragga, finalmente, al condizionamento della politica: perché non ci siano né blindature giudiziarie per alcuni, né un colpevolismo inossidabile per altri.

Sin dai tempi di Enrico Berlinguer, aver sostenuto la diversità sulla questione morale della sinistra è stato un falso storico ed un espediente propagandistico. Ed è stato così anche con tangentopoli, quando la sinistra ha beneficiato della benevolenza della magistratura. D’Alema, lo scorso anno, per nascondere la crisi propositiva e morale della sinistra, sosteneva la presenza di una crisi della politica, mentre c’era invece un Paese che giudicava severamente l’Unione che, oltre a non essere affatto diversa sulla questione morale, si mostrava arrogante, incoerente e persino incapace.

Il garantismo dovrebbe prevalere sempre e comunque, soprattutto se esista qualche ragionevole dubbio che le leggi siano state utilizzate per finalità diverse da quelle di rendere giustizia. Il ragionevole dubbio, soprattutto dinanzi a indubitabili posizione ideologiche, lo si dovrebbe ritenere sufficiente a richiedere la presunzione di innocenza dell’imputato. Ci sono stati troppi orribili errori giudiziari, e tante azioni devastanti della magistratura requirente, da poter ritenere infallibile l’esito delle vicende giudiziarie. C’è una gestione della Giustizia in Italia che lede in maniera inaccettabile l’immagine della valenza positiva del diritto.

Siano lasciate a Di Pietro ed ai suoi emuli e sostenitori l’intolleranza e la presunzione di infallibilità della magistratura. E’deplorevole la ferocia del sentimento forcaiolo che mortifica il valore dell’umanità. C’è da battersi per la salvaguardia della dignità dell’uomo, sempre e comunque, e contrastare, per scelta di civiltà, l’utilizzo dei metodi inquisitori assimilabili alle pratiche di tortura medioevali. La cultura dell’uso della cattività come strumento di pressione psicologica, ancora cara alla formazione di alcuni, è orribile e squallida. L’Italia civile deve avere, invece, la dignità morale di ricordare con orrore la sorte di coloro che, umiliati come uomini, si sono tolti la vita, e meditare altresì sull’affronto alla dignità umana di chi chiamato in causa, con superficialità e forse malanimo, dopo aver subito la tortura mediatica e l’alterazione della vita privata, è risultato innocente.

E’ esecrabile usare i toni della ferocia giudiziaria per istigare, per meri fini politici, la sommarietà di giudizio del popolo: una forma di viltà che è forse il reato morale più grave per un uomo, benché non ci sia legge penale che in tempo di pace ed in ambito civile ne sancisca una pena.

Non si vuole far moralismo, e non si vuole stabilire la contabilità dell’abuso e dell’illecito di uno schieramento o dell’altro, interessa, invece, il fenomeno per stabilire, per giustizia, che non ci sia una diversa forma partito per contenere i comportamenti degli uomini. Non esiste una questione morale che interessi la sinistra o la destra per definizione, ma esiste un sistema insostituibile, quello democratico e pluralista, che per funzionare bene avrebbe  bisogno di regolamentare un modo diverso di agire, fatto di trasparenza concreta, di controlli e ricambi.  

La politica non è un mestiere. L’affermazione non deve apparire come la solita retorica antipolitica. Anche l’antipolitica, infatti, è diventata un mestiere. Non è neanche una questione di generazioni o di genere, benché le donne abbiano spesso mostrato un senso pratico dimostratosi più trasparente ed efficace. Non è vero che tra i giovani e gli anziani esista una diversa tensione morale. Bando perciò ai luoghi comuni. L’onestà e la buona amministrazione trovano ostacoli nella smania del potere, nella rincorsa agli agi personali e nella ricerca del consenso elettorale. Più che le generazioni, prevalgono le occasioni. Ed è su queste che occorre intervenire. C’è anche tanta ipocrisia in coloro che sostengono, ad esempio, che la cura sia il ripristino delle preferenze elettorali. Sono solo fantocci polemici di chi non vuole risolvere niente. Le preferenze sono state in passato, e sarebbero ancora in futuro, fonte di maggiore corruzione e stimolo al rafforzamento del clientelismo politico. Sarebbe persino opportuno abolirle anche a livello amministrativo locale.

Vito Schepisi

Dichiarazioni destabilizzanti di un magistrato

dicembre 4, 2008

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Ci sarebbe da non crederci. Un PM di Milano rivolge apprezzamenti pesanti contro il Premier in carica, ed il suo predecessore Prodi, per aver posto il segreto di stato su questioni di interesse nazionale che si intrecciavano con le indagine sul rapimento, da parte di agenti dell’intelligence statunitense, dell’egiziano Abu Omar, Imam di Milano, indagato per terrorismo.

“Gli ultimi due presidenti del Consiglio hanno utilizzato in modo strumentale il segreto di Stato per impedire all’autorità giudiziaria l’accertamento della verità” è quanto ha sostenuto il PM Armando Spataro. La dichiarazione  è grave per la forma ed anche per il luogo in cui è stata formulata. E’ avvenuta, infatti, nell’aula del tribunale, durante l’udienza fissata per decidere sull’istanza, presentata dai difensori di un agente dei servizi, di annullamento delle testimonianze sottoposte al segreto, di rinvio del processo a data successiva a quella in cui la Corte Costituzionale deciderà sul conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, a suo tempo sollevato da Prodi, ed in subordine di proscioglimento dell’imputato. Il Giudice ha poi deciso di sospendere il processo fino al 18 marzo prossimo, in attesa della pronuncia della Consulta sul conflitto di attribuzione ravvisato.

Per il PM Spataro, sia Prodi che Berlusconi avrebbero fatto “un uso del segreto di Stato che ostacola la giustizia e l’accertamento della verità”, trasformando il conflitto giuridico citato, in gravi accuse sull’esercizio delle funzioni di Capo del Governo. Viene da chiedersi se le garanzie, sempre sbandierate dai magistrati, in difesa della loro dignità e della loro funzione giurisdizionale, trovino, anche per questo caso, nel Consiglio Superiore della Magistratura, l’attenzione richiesta per riportare alla cautela ed al rispetto per le istituzioni e per le funzioni dello Stato gli atti e le parole dei magistrati. Gli atti pubblici assumono valenza di liceità e devono, pertanto, essere valutati per responsabilità  e per prudenza, e ricondotti al rispetto del sistema della democrazia.

Si ha l’impressione, invece, d’essere dinanzi ad un uso improprio della funzione requirente. La giustizia in democrazia regola di norma i comportamenti pubblici e privati, per ricondurli ai principi sanciti dai codici che stabiliscono gli equilibri tra i diritti ed i doveri di tutti.

La funzione giurisdizionale contiene, però, dei limiti che attengono alla sicurezza dello Stato ed alla conseguente tutela del cittadino. Sono limiti posti per scoraggiare l’uso improprio della legge: perché questa, in sostanza, non finisca per tutelare coloro che minano la sicurezza nazionale, limitando così di fatto la difesa di inermi cittadini dinanzi al pericolo del terrorismo. Per il diritto alla sicurezza lo Stato ha il dovere di prevenire le azioni di coloro che col terrore vogliano minare la fiducia nelle istituzioni e destabilizzare il Paese. Per queste funzioni, delicate e particolari, ma fondamentali e necessarie, agiscono i servizi segreti cautelati per l’appunto dal segreto di stato.

Le attività dei servizi sono in relazione a circostanze in cui i rapporti con uomini e paesi non vengono affrontati né in via riservata, tra le diplomazie, e né in rapporti diretti tra i governi dei paesi interessati. Attengono soprattutto alla creazione di una rete informativa sulle questioni di sicurezza nazionale, utili a prevenire attentati, trame ed atti contro uomini e beni nel  nostro Paese.

La segretezza viene resa necessaria dall’interesse nazionale e non dal capriccio o dall’interesse personale di alcuni. Anche i limiti della legalità eventualmente violata nel merito è direttamente proporzionale alla pericolosità dei soggetti coinvolti ed alle circostanze ravvisate.

Il controllo delle finalità dei servizi è lasciato di norma alla responsabilità degli uomini indicati dai governi ed ad un Comitato di controllo che per prassi è presieduto da un rappresentante dell’opposizione per garantire l’uso democratico e non politico degli interventi.

Le notizie di cronaca sulle intercettazioni a Milano di fanatici fondamentalisti che progettavano attentati appartiene, ad esempio, ad un’azione di prevenzione quantomai necessaria e tempestiva. Sarebbe, invece, un bel danno se in nome del protagonismo giudiziario, ora di questo, ora di quel magistrato,  venisse meno la fiducia nell’azione informativa e preventiva della nostra “intelligence”.

Vito Schepisi     su     l’Occidentale