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L’opposizione cavalca anche la recessione

novembre 18, 2008

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 In una azienda, se ci sono criticità, il personale si adopera a comprenderne la portata ed ad offrire il suo contributo per superare senza eccessivi danni la temporanea congiuntura. C’è di norma la collaborazione di tutti e non è importante stabilire se l’impegno sia per sostenere la propria occupazione o per sostenere l’azienda.  Anche i rappresentanti dei lavoratori hanno il dovere di tranquillizzare le maestranze e di mediare con l’azienda i provvedimenti ritenuti utili per ridurre eventuali difficoltà produttive, ovvero spiegare ai lavoratori eventuali contrazioni di mercato o ancora la presenza di spirali di aumenti dei costi che frenano l’economicità dell’impresa.

Sarebbe stupido pensare che sindacati e lavoratori si possano disinteressare e costringere l’azienda ad adottare provvedimenti socialmente preoccupanti come, ad esempio, in presenza di difficoltà nel pagare sia i fornitori che i salari ai dipendenti, far ricorso ai licenziamenti o più ancora  fallire.

La gestione di un paese è per molti aspetti simile a quella di una grossa impresa. I prodotti aziendali sono grosso modo i servizi che eroga ai suoi cittadini. In cambio della fornitura dei servizi lo Stato acquisisce una contribuzione in misura progressiva e proporzionale ed una imposta sui consumi. La raccolta delle risorse è definita con la locuzione di  prelievo fiscale. Normalmente lo Stato utilizza le entrate fiscali come cassa per la spesa corrente e impegna le risorse economiche, poste nel bilancio preventivo con la legge finanziaria, per gli investimenti. Sulla base delle ipotesi di entrata, lo Stato stabilisce le sue attività, dà corso ai suoi investimenti e contrae anche debiti, facendo ricorso all’immissione sul mercato di prodotti finanziari che vengono acquistati dai risparmiatori italiani ed esteri.

In tutti i paesi civili del mondo, con l’economia in difficoltà per ragioni attinenti ai venti di crisi che soffiano sulle economie di tutti i paesi produttori, la politica e le parti sociali si stringono attorno agli interessi nazionali e ciascuno per la propria parte si rende disponibile a non far mancare collaborazione e responsabilità. Un paese destabilizzato, senza una politica economica supportata da strategie di contenimento della spesa corrente, ad esempio, per gli effetti negativi della recessione, andrebbe incontro a difficoltà ancora più pesanti come, ad esempio, la contrazione del potere d’acquisto dei salari e l’aumento del “prelievo fiscale”.

In Italia, gravata da un debito pubblico eccessivo, basterebbe anche uno scivolone in Parlamento sulla spesa e sui conti per creare enormi difficoltà. In tempi di recessione, infatti, tra le preoccupazioni c’è anche quella di stabilizzare il costo del debito finanziario. Questo costo è valutato, periodo per periodo, dalle società di rating attraverso indici di affidabilità da assegnare all’impresa paese. In un stato responsabile, pertanto, tutti sarebbero seriamente consapevoli che il deprezzamento del Paese renderebbe più acuta la crisi perché inciderebbe sul costo del debito. Tutti dovrebbero essere consapevoli che il maggior costo andrebbe a ridurre le risorse correnti e che, quindi, per finanziare la spesa, si dovrebbe far ricorso alla maggiore pressione fiscale e/o all’espansione del debito, tenendo però conto dei vincoli europei, come Maastricht, ad esempio.

Perché in tutti i paesi c’è consapevolezza e responsabilità, ed in Italia questo non accade?

Nel nostro Paese mentre la recessione preoccupa, oltre che il Governo, le famiglie, le aziende, ed i risparmiatori, sembra che invece lasci indifferente l’opposizione e quella fetta di sindacato che in questa opposizione si rispecchia.

Indire scioperi generali e contestare le riforme del Governo, anche per il taglio alla spesa, sembra la strada più irresponsabile che si possa seguire. Ad iniziare dal rischio di lasciare a terra la nuova Alitalia, solo per far dispetto a Berlusconi, nel riprovevole gioco del duo Epifani-Veltroni, per poi passare a tutta una serie di tensioni che vengono innescate nel mondo della scuola e dell’università, come nel pubblico impiego, a volte su questioni del tutto inesistenti o sulla base di provvedimenti di riqualificazione della spesa da cui non si può derogare, se si vuole offrire al Paese un quadro di efficienza e di lotta agli sprechi ed agli abusi, l’opposizione appare poco seria ed irresponsabile.

Mentre, negli USA, Obama e McCain si incontrano per concordare politiche di collaborazione per superare le difficoltà della recessione in atto, in Italia, invece, da aprile Veltroni continua la sua campagna elettorale fatta di piazzate e di pesanti accuse al Governo ed ai suoi rappresentanti.

Vito Schepisi    su l’Occidentale

 

Ora tutti a posare il cappello sulla sedia di Obama

novembre 6, 2008

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Il mio cappello è nel guardaroba dell’ingresso di casa mia e niente mi potrà spingere a portarlo altrove. Questo ho pensato questa mattina alle prime notizie della corsa dei politici e dei giornalisti italiani alla notizia della larga vittoria di Barack Obama alle Presidenziali degli USA.

Era da tempo che mi andavo convincendo della probabile vittoria dei democratici negli USA, ben prima che il fenomeno Obama emergesse. La consideravo naturale ed anche auspicabile per l’affermazione dell’alternanza in una democrazia compiuta come quella degli Stati Uniti. L’era Bush si è compiuta dopo l’11 settembre e dopo le guerre in Afghanistan ed in Iraq. Le guerre non portano consensi elettorali ed, anche se le motivazioni possono essere forti, alla lunga risultano sempre impopolari.

Mi sono chiesto, pertanto, quale delle affermazioni può essere quella più vicina alla realtà tra le due seguenti: “io ho tifato per Obama” ovvero l’altra “no! Tu hai tifato per McCain”. Ed ho stabilito che le due affermazioni sono tutte e due sostanzialmente sbagliate. Non ho tifato per nessuno, infatti. Sapevo che le maggiori chances erano per Obama e mi ha irritato la campagna di McCain che mi è sembrata nostalgica e senza richiami al nuovo ed ai tempi mutati.

E’ mancato nel programma dei repubblicani il riferimento alle riforme, soprattutto in campo economico ed in quello sociale, per stabilizzare la potenza americana in un mondo che cambia e che necessita di nuovi contenuti e soprattutto di attenzione verso le fasce più deboli. Ho pensato che, in questa lunga campagna elettorale americana, ai repubblicani siano mancati i riferimenti alle garanzie, ai giovani, alle regole di un liberismo economico e finanziario che si è modificato in peggio, come abbiamo visto per la recente crisi delle banche americane.

Non serve allo sviluppo ed all’economia un liberismo senza regole e senza crescita produttiva che attraverso le leve finanziarie finisce con l’essere  solo un espediente per creare ricchezza fittizia a beneficio di pochi ed a spese della povera gente che, invece, alla fine vede azzerare i propri risparmi.

In qualche momento ho persino pensato che la vittoria di Obama potesse essere salutare. Ho pensato che il nuovo Presidente, sostenuto dal consenso opportunista e conformista, se non codino e strumentale – come quello di Walter Veltroni – della sinistra europea, e dalla non inimicizia degli ambienti islamico-palestinesi, potesse risolvere una volta per tutte sia le frizioni con il fondamentalismo islamico, con i venti di guerra dell’Iran, sia la pace in Palestina con la formula delle due terre e dei due popoli. Ho pensato che il multilateralismo del democratico Obama, da non confondere con quello di D’Alema, che invece è sembrato molto unilaterale, potesse convincere i signori della guerra dell’est e del medio oriente a ricercare la via del negoziato riconoscendo il  rispetto dei diritti di tutti.

Ci sono missioni militari che impiegano uomini, mezzi e risorse che potrebbero essere invece utilizzate per gli interventi legati all’ambiente, al clima, alle acque, alla fame nel mondo. Necessitano gli investimenti da destinare alle nuove fonti energetiche. C’è persino un flusso migratorio che muta le radici dei popoli, genera scontri di civiltà, fomenta la xenofobia ed il razzismo, imbriglia le economie e la politica. I popoli ed i paesi devono essere aiutati a risolvere i loro problemi sul proprio territorio e per farlo occorrono politiche di cooperazione e di stabilità. Il mondo di oggi non può infatti permettersi diatribe e conflitti se non pregiudicando il suo sviluppo e la sua capacità di diffondere interventi di sicurezza sociale.

E’ su questi pensieri che mi sono convinto che McCain non sarebbe stato il candidato ideale per gli USA. Non posso non dire, però, che la vittoria di Obama mi infastidisce per la carica di strumentalizzazione che il provincialismo italiano vuole innescare su questa vittoria.

Gli elettori statunitensi hanno scelto per il rinnovamento e le riforme, hanno scelto per la politica che il centrodestra in Italia va sostenendo in antitesi alla politica sclerotica e conservatrice del PD.

Il popolo americano, dopo le elezioni, è unito nel sostenere le politiche del suo Presidente, il Partito Repubblicano per bocca del senatore McCain si è detto disposto a collaborare nell’interesse degli States e del suo Presidente.

Possibile che nessuno senta lo stridore della propria coerenza con la realtà dei modi di una educazione alla democrazia, che invece non riesce ad assimilare, esultando per la nuova leadership degli USA?

Vito Schepisi       su l’Occidentale